1991:Tunisia. Il nome di questo paese ha segnato un nuovo incontro con il fascino del mondo islamico, ma soprattutto con il fascino di Cartagine, l’orgogliosa città di Annibale, che mise più volte in scacco la grande Roma.
La famosa frase, Carthago delenda est, si è seminata in tanti dei miei studi latini di grammatica, sintassi, storia e letteratura. Catone era convinto che non fosse possibile per i Romani venire a patti con il secolare nemico e aveva fatto di questo argomento il leitmotiv di tutta la sua azione politica, tanto che ogni suo sermone, di qualsiasi argomento trattasse, finiva sempre con questa esortazione: Ceterum censeo Carthaginem esse delendam. Si dice che nel momento in cui Marco Porcio Catone pronunciò questa frase per la prima volta, tirò fuori da sotto la tunica un cesto di fichi provenienti da Cartagine, volendo dimostrare che se il fico, frutto assai delicato, poteva resistere al viaggio da Cartagine, la città africana era troppo vicina a Roma, quindi andava distrutta.
E così fu.
“Arrivarono in città gli abitanti della campagna a dorso d’asino o a piedi, di corsa, pallidi, ansanti, sconvolti dalla paura: Fuggivano davanti alle truppe nemiche che in tre giorni, da Sicca, avevano raggiunto Cartagine, pronte a metterla a ferro e fuoco… Ma Cartagine era difesa per tutta la lunghezza dell’istmo da un fossato prima, poi da un terrapieno erboso e infine da un muro alto trenta cubiti, ostruito a due ripiani con blocchi di pietra squadrati. Nello spessore del muro erano state costruite le scuderie per trecento elefanti e i magzzini per le loro gualdrappe, le bardature e il foraggio e ancora altre scuderie per mille cavalli con le provviste d’orzo necessarie al loro mantenimento e inoltre gli alloggiamenti per ventimila soldati con armi e materiale bellico.
Sul secondo piano si innalzavano le torri orlate di merli: sulle mura esterne erano applicati degli scudi di bronzo sospesi a ramponi… Ad anfiteatro si estendeva la città con le sue alte case a forma di cubo. Case fatte di pietra, di legname, di sassi profondi, di canne, di conchiglie, di terra battuta.. I boschetti dei templi parevano laghi di piante verdi in mezzo a tutte quelle costruzioni variopinte, livellate, a distanze ineguali, dalle piazze pubbliche e divise, dall’alto in basso, da innumerevoli stradine che si intersecavano fra loro.” (da Salammbo di G. Flaubert)
Della Cartgine romana devastata dai Vandali (442 d. C.) e annientata dagli Arabi (698 d. C.) troviamo qualche rovina, ma per chi ama il mondo antico, il luogo è carico di fascino. Della grande Cartagine restano solo i contorni incerti dei porti e le macabre stele del tempio di Tanit, la sanguinaria dea alla quale si immolavano neonati e fanciulli.
Ci affascinano le città di Monastir, Tunisi, Kairoun, Dougga, Djerba… con le loro moschee , le mederse (scuole coraniche) i bazar, e i mirabili esemplari di architettura spontanea che sono i ksar, i granai fortezza del deserto.

E il deserto? Che dire…

Disegna il vento tremolii
zigzaganti
e gioca col sole
a tracciare e cancellare
sei infimo in quell’immensità
che non travolge
ma avvolge
nel più profondo essere
di un altro mondo.

Vita nascosta
Granello di linfa
Vegetale
Punteggia a pennellate
L’ineffabile
Di un dio

S. L.