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Il libro porta il numero 5 della collana Minumum di Morgana Edizioni; è una preziosa edizione in trenta esemplari caratterizzata da piccole dimensioni (11 cmx11cm), da carta pregevole contenente un racconto di Sandra Landi in 1.600 battute e un’opera originale dell’artista Wessel J. Huisman – Olio su faesite.

Ottavia

Dicono che fosse la più bella.
Dicono che avesse occhi di malva in fiore.

Cercavano donne alla cantina: così combatté per guadagnarsi quella libertà.
Con tenacia e determinazione.
Erano esplose in quel corpo di bambina, lasciando esterrefatti gli uomini di casa, abituati a ombre di donna, remissive, come da secolare regolamento.
Ma lei era un misto di cocciutaggine e timidezza: parlava con lo sguardo e teneva in tasca le parole.
Lavorare in paese significava respirare un’aria che non puzzava di vacca e di fieno.
E le ciminiere correvano alte, nell’infinito, più dei cipressi del podere.

Dicono che avesse ciglia nere come farfalle notturne.
Dicono che avesse voce d’usignolo ferito.

Una sera, come tutte le sere, nel silenzio delle bocche affamate, balzò come un ceffone la sua decisione:
– Domani vo’ a lavorare alla cantina.
E fu proprio la Pia ad essere la più sbalordita.
Sognava per lei una casa vicina e un ragazzone buono come i suoi sette figli: lavoravano da dio quella terra ossuta e non avevano albagie per la testa.
C’era solo la voglia di sfamare lo stomaco e il cazzo: le donne si sa, servono a questo.
Sì, Ottavia si era accorta che il padrone l’aveva subito penetrata con lo sguardo, ma non seppe chiedere perché quando le ordinò di restare, quella sera, alla fine del turno.
La paura afferrò come una morsa quel corpo di ghiaccio e una pietra le conficcò il ventre, con arroganza.
Il fiato del sigaro ansimante si impigliò nel tanfo di vinaccia – puzzo e ancora puzzo – e il dolore si fece abisso – rosso e ancora rosso – e neppure un grido uscì dalla bocca spalancata, quando attraversò il velo di quella sera che era già notte, squarciata, all’improvviso da rantoli di luna.

Dicono che quando morì avesse in tasca un pesciolino d’argento.
Dicono che avesse impigliata nei capelli una rete di sogni, mentre l’acqua del fiume riportava, cullandolo, quel corpo di fata.