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Il libro porta il numero 18 della collana Minumum di Morgana Edizioni; è una preziosa edizione in trenta esemplari caratterizzata da piccole dimensioni (11 cmx11cm), da carta pregevole contenente un racconto di Sandra Landi in 1.600 battute e un’opera originale dell’artista Hiroaki Kubawara.

Ester

Basta un niente e alitano sulle spalle.
Eccoli, i non sogni – bianchicci e appiccicosi.
Qualcuno li chiama ricordi, li ama e li vezzeggia.
Ma io devo tenerli lontani.
Si acquattano beffardi, chissà in quali luoghi, per poi spuntare quando meno te l’aspetti.
Stanno dietro, i pusillanimi, e se ti sorprendono, sei fritta.
Nonostante tutto ho voglia di sentirmi come vita, come qualcosa di presente e pensante. Ho voglia di ascoltare il gorgoglio del sangue che mi percorre, di indagare i pori della pelle – piccoli vulcani lunari – di sentirmi braccia, gambe, capelli, forza…
Odori.
La gente puzza: puzza anche qui, anche ora, anche sotto i deodoranti.
E’ forse la vita la sintesi di tutto questo? Guazzabuglio di fetori.
Intanto sto qui, giorno per giorno, a catalogare l’esistente per tentare di capire.
Ma cosa vado cercando con questa precisione da entomologo?
Non sono le cose che devo capire, ma il perché delle cose.
E allora quel che mi manca è l’orizzonte: dove si coniuga non solo il cielo con la terra, ma il passato con il presente.
Prima non potevo vederlo, adesso non riesco a vederlo.
È come se loro mi annebbiassero la vista.
Ma ne conservo ancora il sapore, perché l’orizzonte sa di fragole e di rosa canina, e quando l’assaggi, lascia un retrogusto asprigno. Indimenticabile.
Troppo importanti i sapori della vita: bisogna cercare una tattica diversa.
Sarà meglio la difesa o l’attacco?
E allora mi metto lì e cerco di acchiapparli, i ricordi. Con ostinatezza, con cocciutaggine. Ma non c’è niente da fare: sguizzano come pesci. Vivono una vita indipendente.
E allora cerco di isolarli: li prendo e li separo a forza l’uno dall’altro, perché, insieme, non aumentino di peso.
Vanno presi uno per uno per delinearne, almeno, i confini.
Ma è una battaglia inutile, tanto vincono loro.
Lo so e l’ho sempre saputo.
Così, mentre il silenzio interiore scivola sulle cose, tutto si fa muto e impenetrabile.
Senza senso.
L’abisso si allarga, si sfumano le pareti.
Non più un refolo di Luna.
Eppure era da Te che vivevano, i miei sogni.
Talvolta avrei voluto gettarmi in quella farandola di nubi, azzurrognola e fragile, ma protettiva.
Però anche Tu, al momento del bisogno, te ne stai rinchiusa in un mutismo cocciuto, eterea e trasparente, lontana e inutile… Sì, inutile, lasciatelo dire!
Puoi anche smettere di luneggiare dietro quelle nubi di mussolina gentile.
Anche solo per rispetto.
Non resta che immergersi in questa protezione uterina, in attesa della morte.
Anche Lei si nega dopo avermi corteggiata.
No, non mi chiamo Ester.
No, sono il numero 10.133.