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Premessa

L’idea e la scelta di un viaggio in Sudamerica fu più che altro dovuta alla nota infezione SARS, che aveva colpito principalmente la Cina. La Cina e il Tibet erano stati inizialmente i Paesi individuati come meta del viaggio di quest’anno. La SARS, appunto, ci spostò nel Continente opposto, cogliendo così l’occasione per arricchire le nostre conoscenze sudamericane, dopo il mitico viaggio del 2.000, attraverso le Ande, fra Cile e Bolivia. La scelta cadde sull’Argentina del Nord, sul Paraguay, sul Sud del Brasile e sull’Uruguay. E fu un’ottima scelta, come capirete in seguito…, anche se io mi ritrovo perfettamente in quanto afferma Robert L. Stevenson:” Per quel che mi riguarda, io viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare. La gran cosa è muoversi, sentire più acutamente il prurito della nostra vita, scendere da questo letto di piume della civiltà e sentirsi sotto i piedi il granito del globo appuntito di selci taglienti”.

27 Luglio

L’appuntamento è con Cristina e Pietro alla loro abitazione di Chiesanuova; alle 13.45 li prendiamo con la nostra auto diretti alla stazione di Firenze, dove ci attendono Stefania e Gianni.
La partenza dell’Aerolines Argentines è da Roma-Fiumicino, dove l’aereo decolla puntualmente alle 20.40, diretto a Buenos Aires (in Argentina sono ancora le 15.40).
Il volo ha una durata di 15 ore, comode ma lunghe, anche se scorrono tutte all’interno di un’interminabile notte. Si giunge nella capitale intorno alle 6.40 del mattino successivo, in tempo per gustarci la prima e l’unica alba dell’intero viaggio.

28 Luglio

Come previsto, si deve passare all’aeroporto nazionale per decollare alla volta della capitale argentina del Nord, Salta, dove si atterra intorno alla 14.00. Un maxi-taxi ci conduce al centro della città e prima di qualsiasi altra cosa ci preoccupiamo di prenotare l’alloggio, optando per un ampio, comodo e confortevole appartamento, in un condomino vicino alla Piazza centrale.
La prima significativa scoperta è che i prezzi riportati dalla nostra guida in dollari USA corrispondono, in realtà, all’attuale valore del Peso, che da circa un anno e mezzo è stato però deprezzato, rispetto a quando era equiparato al valore del Dollaro; oggi vale qualcosa come intorno allo 0.30 di un Euro. E’ come dire che il costo della vita si è ridotto a non più di 1/3 rispetto a poco più di un anno fa. Per noi, naturalmente, è una pacchia! Anzi, due, dato l’attuale cambio favorevolissimo dell’Euro.
Il primo impatto con la città è gradevolissimo, malgrado le fatiche del viaggio. La visita al centro è rinviata all’indomani, mentre utilizziamo le nostre  forze residue per tentare di accordare le prime prenotazioni: il viaggio sul famoso”Treno de les Nubes” e soprattutto la disponibilità di un piccolo minibus, sperando con questo di poter attraversare l’intero Sudamerica.
Salta è una città dalle grandi potenzialità turistiche, così come dalle scarse capacità organizzative dei suoi “tourist-operetors”. Noi ci imbattiamo, alla Euro Rent Car, in uno dei tipi più ardimentosi e creativi, quanto dei più stravaganti e inattendibili. Un certo “Alejandro” ci illude, sull’imprima, che tutto sarà semplicissimo, che la nostra richiesta di affittare un minibus per recarci anche in Paraguay, Brasile ed Uruguay non presenta alcuna difficoltà ed anche il costo risulta più che accettabile. Ci diamo appuntamento, fiduciosi, per l’indomani e ci concediamo la prima meritatissima pausa, intorno al tavolo di un ristorante, casualmente prescelto soltanto perché nei pressi. Poi, un lungo sonno ed un risveglio che ci rinsalda perfettamente ritemprati.

29 Luglio

Salta, la “Linda por naturaleza”, è al centro di una straordinaria provincia incastrata fra Cile, Bolivia e Paraguay. E’ una meta che non si sceglie, tuttavia, soltanto per i suoi pregi naturalistici; quegli storici e architettonici sono altrettanto difficilmente paragonabili. Rappresenta un po’ un simbolo dell’ epoca coloniale, una vera e propria pagina di storia per l’architettura di quel tempo. Come in qualsiasi città coloniale, anche a Salta l’epicentro è rappresentato dalla Piazza, che qui (come, d’altronde, spesso accade) è intitolata 9 de Julio. La nostra prima visita è alla bellissima Cattedrale, in stile neogotico. Sorge sull’area dell’antica Cattedrale, distrutta da un incendio. Progettata da due architetti italiani, Giorgi e Rigetti, fu inaugurata nel 1882, per il trecentesimo della fondazione della città. La facciata è in restauro, ma siccome resteremo alcuni giorni per visitare anche le zone d’intorno, prima di congedarci avremo il privilegio di apprezzarla, completamente restituita al godimento di tutti. Poi si passa alla visita del Cabildo Historico del Norte, anch’esso affacciato sulla Piazza, oggi sede di un ricchissimo museo, testimone delle antiche tradizioni storiche ed artistiche dell’intera provincia. Appena poco distante si incontra la Chiesa di San Francesco, più avanti il Convento San Bernardo ed altri monumenti ancora, che rendono, appunto, particolarmente preziosa questa “linda” città. Salta è anche la patria di Guemes, il famoso generale gaucho, eroe dell’indipendenza.
Mentre percorriamo una delle direttrici centrali si è colpiti da alcuni manifesti del “Partito Obrero”, manifesti che annunciano una prossima manifestazione e che invitano alla frequentazione della sezione. Di lì a pochi passi eccoci in sezione, dove ci intratteniamo a colloquio con una fervente militante, che ci informa come purtroppo questo splendido partito raccolga non più del 4-5%. Un partito un po’ estremo, molto motivato, ma incapace di incidere in modo ampio e decisivo.
La mattinata scorre veloce ed intorno all’una, attraversando la zona pedonale, si decide per un pranzetto a base di pizza, al misero costo di appena 1 Euro a testa. Il clima, in questa città situata a 1.200 mt. di altezza, è mitissimo, dicono da eterna primavera, naturalmente con una discreta escursione termica fra il giorno e la notte.
A metà pomeriggio la direzione è per il “Cerro San Bernardo” che si raggiunge con una moderna funivia. Un balcone panoramico sulla città, ma anche una terrazza che ci avvicina, quasi con intimità, al maestoso paesaggio montagnoso che circonda Salta. Naturalmente si tratta di un luogo ideale anche per la documentazione fotografica di Gianni, Pietro e Sandra, specialmente a quest’ora del tramonto.
Tranquilli (anche se, in verità, un po’ sospettosi della sua troppa faciloneria) si torna, dopo il calar del sole, dal nostro “Alejandro” per perfezionare le intese relative al minibus e per scoprire, purtroppo, che le difficoltà per attraversare i confini con un mezzo affittato in altro Paese sembrano insuperabili. Ma scopriremo anche (finalmente, ma è proprio questo  il bello della diretta!) la sua assoluta inaffidabilità. Si prenotano comunque due auto per il giorno successivo, affidandoci al più attendibile “Pablo”, che ci consiglia anche un ottimo ristorante, il “Jovi”, dove ci recheremo in tarda serata (si sappia che l’ora della cena parte dalle 21,00 in poi). Per l’ipotesi minibus tutto è rinviato alla sera successiva, anche se cominciamo a nutrire più dubbi che certezze.
Il “Jovi” merita qualche riga di approfondimento. Si trova nella zona tipica dei ristoranti e dei caffè, intorno alla nota “Calle Balcarce”, zona della vita notturna saltena. Il proprietario è di origine italiana, suo padre era di Messina. Una sera, avvertito della nostra presenza, viene a salutarci al nostro tavolo. Servono piatti tipici e soprattutto il più tipico, la “parillada”, composto da varie qualità di carni alla griglia, abbondanti ed insuperabili per qualità, servita in tavola su un braciere ardente con i carboni ancora accesi. I più affezionati alla “parillada” siamo Gianni ed io, anche se non ci è mai successo di consumarla interamente. Si sa (intendo soltanto confermarlo) che la carne argentina è la migliore del mondo, grazie alle sue praterie; non so invece se si sa che è il piatto assolutamente più economico, tant’è che dal “Jovi” il costo di un’abbondante cena (composta oltrechè da carne anche da qualche primo, insalate, acqua, vino buono, dolce e qualche caffè) non ha mai superato i 6 Euro a testa. Il ristorante, che abbiamo deciso di adottare per tutti i quattro giorni passati a Salta e d’intorno, è sempre affollatissimo e vi si respira un’atmosfera godereccia, un po’ come dal “Latini” a Firenze o dal “Latini” alla Steccaia, nei pressi di Certaldo.

30 Luglio

Al mattino si resta in attesa per più di un’ora prima che ci siano consegnate le due auto prenotate il giorno precedente. Nessuno osa più neppure prendersela troppo; si è capito che le cose vanno così…e che non vada peggio. Il programma di oggi prevede di spingerci verso il Nord di Salta, addentrandoci, sulla via per Jujuy, all’interno della “Quebrada di Humahuaca”, uno spettacolare canyon costeggiato da montagne coloratissime. La prima sosta è a Purmamarca, un piccolo villaggio appoggiato alle falde del Cerro, cosiddetto dai sette colori. Un’immagine che impressiona per la forza dei colori, per le loro stratificazioni, insieme forti e delicate, che vanno dal verde ruggine al viola, dal rosso al turchino.
Tutta la zona è abitata esclusivamente da indios coyas; sembrano delle stesse caratteristiche delle popolazioni incontrate in Bolivia (siamo infatti quasi sul confine, nella zona delle più antiche radici dell’Argentina). Dopo la visita all’immancabile mercato dei prodotti tipici, si passa alla visita della chiesa coloniale del seicento. E’ qui che si apprende che l’intera Quebrada è stata recentemente dichiarata “Patrimonio culturale e naturale dell’umanità”.
Intorno all’ora di pranzo si arriva al Pucara di Tilcara, un’antica fortificazione indigena, dove fino al 1.300 esisteva la roccaforte degli indios Omaquacas. Fra i “pueblos” di questa zona, Tilcara è quello che colpisce di più per la colorita e sfaccendata presenza di “poetas”, “guitarreros”, “bohemios”, che sono soliti animare i più diversi angoli della piazzetta centrale. E’ qui che si consumano alcune tipiche “milanesa”, è qui che si fanno alcuni acquisti ed è soprattutto qui che Pietro, Gianni ed io programmiamo di tornare quanto prima per un periodo non ristretto di tempo, magari mettendo in conti di oltrepassare, di quando in quando, la frontiera cilena per socializzare le stesse esperienze con gli amici (anch’essi, “bohemios”) che sono soliti animare la piazza di S.Pedro di Atacama, appena al di là delle Ande.
A metà pomeriggio, dopo aver attraversato il Tropico del Capricorno, arriviamo a Humahuaca, posta a circa 3.000 metri di quota e dunque ai piedi delle vette più alte delle Ande. E’ la città più significativa dell’intera area, a due passi dal confine boliviano. Si visita la chiesa della Candelaria, la torre dell’orologio ed anche un imponente monumento che ha squarciato un po’ troppo grossolanamente l’equilibrio di questa ordinata cittadina. Incuriosisce una lunga fila di cittadini di tutte le età che stanno di fronte alla sede di una banca, ognuno con un libretto in mano. Non si riesce a capire di cosa si tratti; io propendo per una specie di quotidiana certificazione dei loro risparmi.
Si rientra abbastanza tardi, comunque in tempo per prenotare, presso un’altra agenzia, un pulmino con autista, con il quale nei giorni successivi ci recheremo in Paraguay e quindi alle Cascate Iguazù. Purtroppo si è costretti a rinunciare al Sud del Brasile, giacchè le difficoltà di espatrio dei mezzi di trasporto sono enormi, forse addirittura insuperabili. Nessuno si fida delle assicurazioni, che non valgono nei Paesi diversi da quelli di origine. Peccato!
La cena è naturalmente ancora dal nostro “Jovi”. E poi a letto, consapevoli dell’impegno straordinario dell’indomani: tocca al propagandato (e a ragione) “Treno de les nubes”, che parte esattamente alle  7.00 in punto.

31 Luglio

Qualche minuto prima delle 7.00 siamo in stazione dove fervono i preparativi della partenza, in questo periodo quasi quotidiana per la forte domanda turistica. Alcune informazione avevano presentato quest’esperienza come eccessivamente turistica; in realtà non sarà così.
“Il treno de le nubes” corre all’interno della “Quebrada del Toro”, attraverso canyon profondi, viadotti vertiginosi, montagne (ancora una volta dai mille colori) ed immensi panorami andini. Si tratta indubbiamente di una delle più  ardite ferrovie del mondo. I lavori per la costruzione di questa opera, che collega le Ande all’Oceano cileno, in quel di Antofagasta, iniziarono nel 1921 e malgrado alcuni tratti fossero ultimati in precedenza, l’inaugurazione ufficiale avvenne soltanto nel 1948. Le maestranze giunsero da ogni parte del mondo e sembra che addirittura il futuro Maresciallo Tito di Jugoslavia fosse fra questi. Il progettista fu un americano, si chiamava Richard Maury, oggi sepolto in uno sperduto cimitero di queste montagne. La linea era finalizzata a facilitare lo sfruttamento delle fiorenti miniere; oggi che  hanno perso gran parte della loro importanza economica, il treno trasporta quasi esclusivamente turisti.
Il treno, composto da otto carrozze (oltre a quelle ristorante e postale per lo speciale annullo), parte strapieno; i servizi sono molto efficienti, compresi quelli offerti dalla nostra guida che parla anche italiano. Ognuno si siede nel posto prenotato al costo di circa 50 Euro, ognuno sta fisso verso il finestrino per gustarsi le immagini che  scorrono.  Scorrono lentamente, per ben 15 ore fra andata e ritorno, ad una media di circa 30 Km. all’ora. Durante il  percorso, il treno supera i notevoli dislivelli (fino a raggiungere 4.475 metri di altezza) utilizzando un sistema di zig-zag e circuiti ad anello, passa 21 tunnel, 44 ponti e 13 viadotti; il più spettacolare fra questi è quello de “La Polvorilla”, posto a 4.220 metri, lungo 224 metri ed alto 63.
Il primo tratto corre in pianura fino ad arrivare ad una delle rare soste di tutto il viaggio: Campo Quljano. Poi i primi dislivelli, le prime gole profonde, i canyon con le loro prospettive, i paesaggi che si contrappongono come fosse un gioco da illusionisti, i piccoli villaggi che sprofondano, gli straordinari profili dell’altopiano andino, caratterizzato da una fitta presenza di cactus candelabra che si innalzano nell’arida steppa. Si viaggia come sospesi a mezz’aria, mentre il treno va, lasciandosi alle spalle discese di rocce rosse, nere, grigie,blu con un vero  caleidoscopio di sfumature.
La nostra guida ci offre molte informazioni sulla vita di queste terre, sulle poche coltivazioni, sugli allevamenti di lama, sulla presenza dell’unico volatile, l’aquila. Ci informa dettagliatamente anche a proposito della vita condotta dagli abitanti sparsi quassù, a 4.000 metri. Ci illustra il sistema scolastico, che non serve soltanto all’insegnamento e neppure soltanto a creare opportunità di socializzazione; serve anche a garantire una dieta alimentare, attraverso la mensa scolastica della Provincia, che la stragrande maggioranza delle famiglie non sarebbe in condizione di garantire.
Dopo 5 ore siamo già vicino ai 4.000 metri; si percepisce un po’ di affanno, comunque sopportabile. Intorno alle 13.00 giungiamo a S. Antonio de los Cobres, l’unico vero centro, abitato da ben 4.000 anime. Qui il treno si fermerà sulla via del ritorno, mentre intanto prosegue fino al viadotto de “La Polvorilla”, dove è concessa una sosta, con discesa dei passeggeri, per 45 minuti.
Il vento spira fortissimo; a questa altitudine il freddo è intenso e la notte può raggiungere, in questa stagione invernale, anche i 25/27 gradi sotto zero. Tutti restiamo avvolti nelle nostre giacche a vento, con l’invidia di chi abbiamo lasciato a Firenze (e non soltanto) a sopportare gli insopportabili  40 gradi di calura.
Appena scesi, si è avvolti da almeno un centinaio di venditori di tutto un po’: qui si svolge un vero e proprio mercatino artigianale di manufatti realmente prodotti dalle mani di questa gente, delle donne, dei bambini. Si vendono berretti, sciarpe, calzettoni di alpaca e poi oggettucoli in legno, sassi colorati, bottigliette ripiene di sabbia. I “mercanti” sono prevalentemente bambini, con quei bei musetti olivastri, dalla pelle bruciata dal sole e dal vento. Alcuni sono arrivati fin qui, sicuramente da lontano, con un piccolo agnello in braccio e chiedono una moneta per una foto. Si trascorrono 45 minuti quasi irreali: siamo davvero arrivati col treno delle nuvole, in questo paesaggio dagli orizzonti sconfinati, dove la grandiosità della natura si misura con l’orgogliosa modestia di questi sperduti abitanti indios. Poi il viaggio riprende per la discesa e sosta nella fantasmatica stazione di S.Antonio de los Cobres. Anche qui la storia dei mercanti si ripete, i prodotti sono esattamente gli stessi, le facce identiche. La comunità è composta da pochi minatori e da tanti ex. Di fronte alla stazione si svolge oggi una piccola cerimonia patriottica: si alza la bandiera bianca e celeste dell’Argentina, si suonano le note dell’inno nazionale e poi si riparte, lasciandoci alle spalle le nostre Ande. Io con le Ande ho avuto una lunga frequentazione per averle visitate in Perù, in Cile, in Bolivia, in Argentina. Per me rappresentano monumenti con i quali ho avuto da sempre un rapporto difficile, un amore contrastato: le ho molto amate e le amo, anche se queste non sempre hanno contraccambiato. Sono capaci di un rapporto difficile per la loro scontrosità, ruvidezza, riservatezza. Sono incapaci di offrire confidenza, proprio per la consapevolezza della loro maestosa grandiosità.
Dopo questa breve sosta si riprende la discesa che ci introduce in paesaggi dal panorama completamente diverso  da quello della mattina. Cambia l’intensità della luce e cambiano i colori, ma cambiano anche gli scenari che adesso si godono dall’alto verso il fondo. Poi c’è l’ora del tramonto e la vita del treno si trasforma radicalmente: non serve più restare appiccicati ai finestrini. Molti ne approfittano per un po’ di riposo che spesso lascia il posto ad un vero e proprio sonno, mentre il treno si anima di cantanti e musicisti che offrono tipici spettacoli a chi ha ancora voglia di sfidare la stanchezza. Si alternano in balli, sfoggiando coloriti costumi originali. Coinvolgono il pubblico per meglio sopportare le quattro lunghe ore che ancora servono per rientrare alla stazione di Salta, dove si arriva alle 22.10. Sandra ed io (particolarmente sfinito anche perché, come ho tentato di dirvi parlando del rapporto con le Ande, il male di altura provoca un certo effetto, non si sa perché, proprio su di me) decidiamo di andarcene direttamente a letto, mentre gli altri tornano, senza pentirsene, dall’amico “Jovi”.

1 Agosto

Al mattino mi sveglio riposato, scendo al bar e telefono a Silvia, che ha già provveduto alla sistemazione del nonno e delle nonne al mare di S. Vincenzo. Brava Silvia… e tanti auguri! Silvia mi informa anche che a Certaldo è un po’ piovuto, la temperatura è calata, ma soltanto di un paio di gradi e dunque è ancora caldo insopportabile.
Alle 8.45 ci consegnano le auto prenotate e si parte per attraversare interamente la Valle Calchaquies, a sud di Salta. Siamo all’interno di quello che fu il vero e proprio regno degli indios; le ultime rappresentanze, i Quilmes, furono deportate alla periferia di Buenos Aires alla fine del 1.600, dove ebbero un’ esistenza breve e sfortunata. Noi europei che ci avventuriamo in questo percorso difficile, fatto di strade polverose, di canyon profondi e di picchi pietrosi, illuminati da un sole implacabile che splende nel cielo trasparente, rappresentiamo per loro gli sterminatori, coloro che hanno posto fine alle loro tradizioni, alla loro arte, alla loro scienza. Il paesaggio mostra la bellezza dei suoi luoghi estremi: all’inizio il deserto, poi le rocce erose dal vento, quindi le gole scavate dai furiosi torrenti in piena. Una specie di inferno dantesco sul quale si innalza solenne il condor, cerchiando il cielo con i suoi lenti giri. Si salgono tortuosi tornanti, fino ad arrivare a 3.348 metri di altezza: siamo al passo Pietra del Molino. Da qui inizia il Parco Nazionale Los Cardones, un vasto altopiano stepposo, dove l’unica pianta presente è il cactus candelabra, il cardon, usato da sempre per costruire chiese e campanili, solai e scale, tavole e panche. Intorno alle 13.00 si giunge a Cachi, dove si consuma un’ottima pizza sulla piazza principale, all’aperto, approfittando del  clima primaverile. E’ qui che si incontra un’amica di Cristina, che abita a San Pancrazio di San Casciano. Insieme al suo compagno, lei ha deciso di rientrare a Salta dopo Cachi, noi invece proseguiamo, avventurandoci su una strada malmessa per un viaggio massacrante. Ma ne è valsa la pena. Proseguendo si incontrano i villaggi tipici degli indios, scarsamente visitati dai turisti: Molinos, Los Colorados, San Carlos. Purtroppo, lo scarso tempo a disposizione non ci consente di approfittarne quanto sarebbe meritato.
Avvicinandoci a Cafayate si attraversa la “Quebrada de las Flechas”, caratteristica per le rocce che il vento impetuoso ha intagliato in fogge bizzarre.  Giungiamo al tramonto, quando queste sculture, che emergono dalla sabbia, si tingono di rosso e si ha davvero la sensazione di attraversare un paesaggio lunare. A tarda sera siamo a Cafayate (tradotto significa “sepoltura del pene”), dove alloggiamo presso l’Hotel Asturas. La città, che visitiamo in notturna, è tipicamente coloniale. Si incontrano moltissimi italiani che si sono stabiliti qui perché questa è terra fertile, dove prospera la coltivazione della vite e dove il vino è ottimo. La cena è consumata al ristorante “El Rancho”.

2 Agosto

Cafayate è una delle capitali del vino argentino. Naturalmente cogliamo l’occasione per approfondire l’argomento e lasciamo a Pietro (il nostro esperto) di guidarci, di fare domande e di comprendere le risposte. Gran parte delle Fattorie sono state impiantate da italiani, anche se oggi, a seguito della grave crisi economica che qualche anno fa ha costretto molti a “svendere” patrimoni inestimabili, la proprietà è per lo più passata in mano a capitali stranieri. Decidiamo di visitarne una alla periferia della città.
L’azienda si presenta ben coltivata e ben organizzata per la vinificazione e commercializzazione. Ci accompagna e ci spiega tutto una brava ragazza, molto competente e pronta a rispondere ad ogni nostra curiosità. Anche questa è una delle fattorie che ha cambiato proprietà, acquistata da imprenditori francesi. A conclusione della visita si è condotti nella sala-assaggio, dove ci viene servito un ottimo vino. La ragazza resterà purtroppo delusa nell’apprendere che nessuno di noi si decide a fare acquisti, unicamente per la difficoltà di portarselo appresso, dato ché sarebbe convenientissimo per il costo, che si aggira intorno a 2/3 euro a bottiglia.
Intorno alle 10.30 si riparte alla volta di Salta, mettendo in programma di visitare, strada facendo, alcuni preziosi siti che hanno assunto nomi pittoreschi: Los Castillos, El Obelisco, El Fraile, El Anfiteatro, Garganta del Diablo. Purtroppo però comincia a piovere, anche se in modo leggero, ma tanto da infastidirci e rendere disagevoli le nostre visite, che soltanto Gianni, Stefania e un po’ Sandra decidono di non perdersi. D’altronde non c’è da disperarci, dato che si tratta dell’unica mattinata di pioggia dell’intero viaggio. Prima di partire da Cafayate ci si era recati a fare un po’ di spesa al mercato locale, quindi si decide per un rapido spuntino consumato lungo la strada, esattamente in località  La Vina.
Si prende il caffè in un bar squalliduccio, gestito però da giovani ragazze che sembrerebbero impegnate a fare del loro meglio. Mentre stiamo tornando alle auto, ci colpisce il gran daffare in un cortile del paese: stanno predisponendo il tutto per il compleanno di un bambino, compleanno al quale siamo garbatamente invitati a partecipare, ma non possiamo accettare perchè l’orario della cerimonia è nel tardo pomeriggio.
Il viaggio riprende verso il lago formato da una diga sul Rio Juramento, méta turistica nota ed importante, anche se in questa stagione non si avverte un gran giro. Si torna, quindi, sui nostri passi e si riprende per Salta, dove arriviamo alle 18.00. Il tempo per riconsegnare le auto, per prenotare un alloggio a Iguazù, per partecipare (anche se di passaggio) alla inaugurazione della facciata restaurata della cattedrale (un avvenimento che comprensibilmente coinvolge migliaia di persone), poi lo storico appuntamento dal nostro “Jovi”. Il locale, essendo sabato, è ancora più affollato di sempre e tuttavia il servizio è ancora una volta impeccabile, per non parlare della parillada che resterà memorabile.

3 Agosto

Roberto, il nostro nuovo manager dell’agenzia “Rent Car”, arriva puntuale alle 7.30, accompagnato dall’autista che ci guiderà per ben sei giorni. Si chiama Osvaldo, proprietario del mezzo, molto ben disponibile ad accondiscendere ogni nostra aspettativa. Si caricano le valigie sul portabagagli e si parte, quando ancora il sole tenta di stemperare la bruna mattutina.
Il paesaggio è inizialmente montuoso e molto verde. Poi si accede alla valle del Gran Chaco, dove  predominano intense coltivazioni e liberi pascoli. Si attraversa un territorio di bassopiano piatto, coperto da savane e copiose boscaglie. Il clima diventa molto umido, anzi, caldo umido, fino a farsi quasi insopportabile man mano che ci si avvicina al Paraguay.
Oggi è una tipica giornata di transito (visto che a sera avremo sulle spalle quasi 1.000 km.) e dunque ci sono consentite ancor meno del solito soste per soddisfare esigenze per quanto naturali e necessarie, ad eccezione di una brevissima per garantire il rifornimento ed una zuppa (non sappiamo di cosa) per l’autista.
Il territorio non contempla centri abitati: si dispiega in un’immensa pianura raramente interrotta da qualche gruppetto sparso di case.
Alle 18.00 siamo finalmente a Resistenza, una città che conosciamo soltanto attraverso la descrizione della guida, giacchè il nostro Osvaldo decide di continuare per giungere fino a Formosa. Formosa è famosa, fra l’altro, per le sue sculture sparse in città, opera di illustri artisti argentini. È nota anche per la sua vivacità, tanto che durante la notte è invasa da moltitudini di giovani che affollano i suoi caffè, piuttosto che le sue discoteche e quant’altro risponda ad occasioni privilegiate per la gioventù del luogo. Impressionanti sono anche le grandi folle che a quell’ora gremiscono le chiese, segno di una città molto religiosa e praticante.
Si decide di dormire all’ Hotel S.Martin, il più modesto di quanti praticati, dove tuttavia i più sprofondano in una profonda dormita (avranno inciso, forse, i 1.000 Km?). L’Hotel è gestito da una cooperativa e questo, se da un lato me lo rende più simpatico, dall’altro aumenta la mia rabbia per lo stato di manutenzione e gestione nel quale lo tengono.
Si decide di consumare la cena in una nota pizzeria, non troppo lontana dall’  albergo, dove effettivamente ci trattano molto bene. E’ questa l’occasione per conoscere ancora meglio il nostro autista Osvaldo, che ci racconta le sue esperienze a proposito dei suoi viaggi transandini per accompagnare turisti nel mitico S. Pedro di Atacama (Cile) ed in Bolivia. Ci informa anche  che la crisi della moneta argentina riduce sempre più le opportunità di relazione con Cile e Bolivia e dunque il turismo verso quei Paesi si è ormai ridotto a turisti stranieri.

4 Agosto

Al mattino, dopo aver consumato la colazione in una fornitissima pasticceria della città, ci  concediamo un paio di ore per una visita alla città.
Prima di ripartire, mi capita di tenere un approfondito colloquio politico con un casuale cittadino che, alla fine, si dichiara comunque peronista e soprattutto mi avverte che il Presidente De La Rua (che D’Alema era venuto ad incontrare in occasione del suo insediamento) non era risultato che un presidente inutile, famoso soltanto per aver capeggiato un’alleanza contro il presidente Memen, ma niente più. Peccato! Per me è una vera delusione. Il signore insiste sul fatto che in Argentina non esistono più autorità carismatiche dopo la scomparsa di Peron, il cui partito “giustizialista” resta, sicuramente, il partito maggioritario fra la gente comune.
Intorno alle 10.00 si parte per il Paraguay, passando dalla città di Clorinda. Il paesaggio si caratterizza per l’intensità della sua florida vegetazione dove si infittiscono gli allevamenti allo stato naturale, la vera base economica della Nazione. E’ una zona molto umida perché in prossimità di una depressione che ci accompagna fino al Rio Paraguay, che fa da confine. Anche la dogana, ovviamente, è dislocata sulle sponde del Rio e se quella argentina non pone particolare attenzione ai controlli, quella del Paraguay è invece fin troppo scrupolosa, alla ricerca, pare di capire, di eventuali importazioni di droghe. Ci impone l’apertura di diverse valigie e poi ci domanda di effettuare il cambio, ma non avendo capito se legalmente o meno, noi ci rifiutiamo. Comunque sia, poco dopo mezzogiorno, siamo ad Asuncion, la capitale, dove decidiamo di alloggiare in un albergo di livello discreto, il Grand Hotel.
Qui il clima è abbastanza caldo, bar e ristoranti apparecchiano sui marciapiedi e la gente si riversa sulle strade in grande quantità. Sembra anche finalmente serena dopo essersi sbaragliata di una feroce dittatura che l’aveva soggiogata per ben 35 anni. Insomma, un clima in tutti i sensi piacevole che facilità la nostra visita alla città. Una città anch’essa di origine coloniale, con i suoi caratteristici barrios, con la sua piazza centrale che qui è intitolata genericamente agli Héroes. Da questa si scende verso il Rio, incontrando prima la Cattedrale Metropolitana, poi il Palazzo Presidenziale, che ai tempi del dittatore Stroessner era inavvicinabile (i trasgressori venivano letteralmente fucilati), quindi si visita la casa della cultura, ospitata in uno dei pochi edifici ancora autentici, dopo le imperdonabili devastazioni urbanistiche che miravano, si diceva, a rendere più moderna la città. Ancora più avanti si incontra il vecchio Palazzo Legislativo (il Senato) e nei pressi la nuova sede, che purtroppo non ci consentono di visitare perché è pomeriggio.
Proprio sotto le finestre del Palazzo si apre una vera baraccopoli, per quanto di consistenza modesta; le scene e i riti si ripetono, come in tutte le capitali del mondo sottosviluppato.
Nel tardo pomeriggio il vento si fa molto intenso, premonitore delle piogge notturne; noi ci accomodiamo in un caffè per un po’ di riposo e poi la sera si prova la famosa Taverna “El Antojo”, più interessante sotto l’aspetto folcloristico che sotto quello gastronomico.

5 Agosto

La sala della colazione consente un’ottima vista panoramica sull’intera città. Alle 9.00 ci mettiamo in viaggio, mentre il tempo sta decisamente migliorando, dopo il vento e la pioggia della notte. Osvaldo ci informa di una rapina notturna all’orologeria sotto il nostro albergo; purtroppo questi sono  casi  molto ricorrenti in questi Paesi un po’ così sospesi.
Stamattina è in programma la visita ad alcune località intorno ad Asuncion, a cominciare dai suoi quartieri periferici, che si mostrano tutto sommato ordinati e caratterizzati dalla presenza di molto verde. Qui si trova il Lago Ypacaraì, a riprova di un territorio ricco di acqua e quindi di facili coltivazioni.
Poi si arriva a San Bernardino, antica colonia tedesca fin dalla fine dell’800, oggi nota località di villeggiatura, dove si è anche sviluppata un’ interessante attività di artigianato artistico. Successivamente si visita Caacupè, il più importante centro religioso del Paese che ogni anno, in occasione delle celebrazioni dell’8 dicembre che si tengono nella Basilica de Nuestra Senora de Los Milagros, riesce ad ospitare, sull’enorme piazza, fino a mezzo milione di pellegrini. Qui si consuma un pasto a base di prodotti acquistati nel vicino supermercato; Gianni e Stefania provano il tonno locale, sembra con scarsa soddisfazione. C’è fretta di riprendere il viaggio, tant’è che alle 14.00 siamo già in partenza, direzione San Ignacio Guazù, la prima località sede di una Missiones.
Merita a questo punto fare un cenno alla storia delle missioni gesuitiche. Si trattò di un esperimento eccezionale, condotto da missionari che diedero vita ad una serie di insediamenti (vere e proprie cittadelle) nell’area che oggi sta fra il Paraguay e l’Argentina, dove “ospitavano” gli indigeni ai quali imponevano la loro cultura, religione e mestieri. L’esperimento durò un secolo e mezzo, fino a quando nel 1767 i gesuiti vennero espulsi a causa di invidie locali e soprattutto del timore di Madrid per la loro crescente influenza.
Mentre siamo intenti a visitare i resti dell’insediamento gesuitico, viene chiesto a Sandra (individuata come l’intellettuale del gruppo) di rilasciare un’intervista radiofonica sulle impressioni ricavate  da questo viaggio e soprattutto per argomentare i motivi della nostra presenza proprio qui a San Ignacio. Sandra ci viene “liberata” dopo 40 minuti e ci racconta l’esperienza con questo giovane gruppo di studenti, mentre noi stiamo tentando di capire com’è che i tanti frutti (soprattutto arance) presenti nei giardini delle Missiones sono immangiabili per la loro asprezza. Si capirà più tardi che in realtà vengono usati come sostituti del limone.
Il viaggio riprende  attraverso enormi distese di coltivazioni e praterie animate da numerosi allevamenti. Di quando in quando (ma molto frequentemente) si è fermati da posti di blocco della polizia, qui in Paraguay molto solerte, ma anche disonesta se è  vero, come è vero, che soltanto dietro pagamento di laute mance viene concesso ad Osvaldo di superare difficoltà burocratiche inventate.
A tarda sera si arriva ad Encarnacion, dove si dorme al Paranà e soprattutto si cena in una splendida “churrascheria”, che porta l’inappropriata denominazione di “American Grill”.

6 Agosto

Al mattino presto partiamo per la visita della “Reducciòn” gesuitica meglio conservata di tutto il Paraguay: Trinidad. Da Encarnaciòn dista una trentina di chilometri. Fondata agli inizi del 1.700 ed ultimata nel 1760, fu uno degli ultimi insediamenti di questa congregazione e nel 1728 contava già su una popolazione ragguardevole, stimata intorno a 4.000 unità. Fu progettata da un gesuita italiano, un certo Primoli, che dedicò al progetto ben 12 anni (anche allora non scherzavano a proposito dei tempi!). L’artigianato fu l’attività principale di quei gesuiti, soprattutto rivolto alla produzione di statue, organi, campane ed arpe, insieme alla produzione di canna da zucchero. La conservazione dell’intero complesso è ottima; siamo fra i pochi visitatori, forse anche a causa dell’ora. E’ una mattina abbastanza fredda e soltanto intorno alle 10.00 il sole riesce ad intiepidire un po’ l’atmosfera.
Si rientra poi ad Encarnaciòn per una rapida visita alla città, soprattutto alla parte vecchia, al quartiere coloniale, posto sul lungofiume, oggi caratterizzato da un enorme “Gran Bazar”, dove tutto si vende a basso prezzo, anche se si tratta di prodotti di altrettanto bassa qualità.
Da qui si attraversa, con il lungo Ponte Internacional Beato Roche Gonzalez, il Rio Paranà e si giunge direttamente a Posadas, in Argentina. Le operazione di frontiera si sbrigano in poco tempo e dunque possiamo permetterci di indirizzarci subito verso la regione più tipica delle Missiones, trascurando purtroppo Posadas che ha l’aria di essere una bella città. Si parte prima per S. Anna e subito dopo per visitare S. Ignazio Mimì. Questa è la “Reducciòn” più grandiosa e più organizzata; vi si accede attraverso un percorso museale molto accattivante ed istruttivo. E’ anche quella più propagandata e turisticizzata, dunque anche quella dove si praticano, in generale, prezzi più elevati. E’ tuttavia conservata in modo più approssimativo rispetto a quella di Trinitad. Si trascorre qui gran parte del pomeriggio, si visita il museo e soprattutto la mostra che illustra il progetto di recupero e conservazione elaborato dall’Università Federico II° di Napoli. Soltanto intorno alle 16.00 si riprende la corsa verso le Cascate di Iguazù.
Il paesaggio si caratterizza per le  coltivazioni molto intense, che rendono il contorno molto fresco e verde, perfino nelle zone collinari prossime alle cascate, dove si arriva intorno alle 19.00.
L’Hotel è stato prenotato da Salta (unica prenotazione anticipata), ma anziché trovarsi in lato argentino è collocato in terra brasiliana; ciò comporta un ammattimento non indifferente, soprattutto perché dobbiamo fare dogana soltanto per recarci all’ hotel. Comunque sia tutto si svolge nel migliore dei modi, malgrado il disguido della cena, dove chi ha avuto l’ardire di ordinare la zuppa dovrà accontentarsi soltanto di quella come piatto unico, mentre a me ed Osvaldo che ordiniamo la bistecca, ci sarà servita e di ottima qualità. L’ambiente del ristorante si presenta freddo ed il personale di servizio impreparato: sembra quasi non sia stato avvertito del nostro arrivo. Insieme a noi ci sono due famiglie e soltanto una si comporta con allegria, anche se con moderazione, diversamente da noi che riusciamo ad impressionare (positivamente!) l’intera comitiva. E soprattutto a “digerire” una cena cosi troppo impegnativa.
Ci serve un ragazzo giovanissimo, Marcos (compirà 19 anni il prossimo 21 agosto). Simpatico, ma con poca destrezza nel mestiere, anche perché (ci confessa) non se lo sente suo, affascinato dal poterne svolgere un altro: quello del disk-joker.

7 Agosto

Si parte alle 8.00 e dopo pochi minuti siamo già sulla frontiera argentina, dove si incontrano numerosi turisti che partono per la visita alle cascate. Sbrigate le normali operazioni, si entra subito in quello straordinario monumento nazionale rappresentato da Iguazù, visitabile sia dal lato argentino che da quello brasiliano. Un mio amico, Giuliano B., mi aveva anticipato il carattere dell’impressionante impatto che provocano in chiunque  si avvicini… ed è proprio così! Impressionano, anche perché ben organizzati sono i circuiti che attraversiamo, approfittando anche di una splendida giornata primaverile.
In lingua guarani, Iguazù significa “Acque Grandi”. Un nome che rende giustizia al fenomeno delle ben 275 cascate che precipitano da un’altezza di oltre cento metri, su un fronte a ferro di cavallo irregolare di circa quattro chilometri. Un muro d’ acqua sul quale si incrociano arcobaleni creati dai vapori e dagli spruzzi che a tratti diventano pioggia sottile trascinata dal vento. L’intero complesso è letteralmente immerso in una fitta foresta ben mantenuta, una vegetazione come poche altre rigogliosa, un vero e proprio labirinto di alte piante che rendono ancora più avvincente l’intero paesaggio. Si succedono terrazze e saliscendi, percorsi circoscritti da rocce che si aprono in precipizi, intercalati da cascate intermedie che si incuneano tra isolotti verdi.
Il percorso all’interno del parco è garantito da alcuni piccoli treni, ben inseriti nell’ambiente, che ci accompagnano quasi ovunque, ma soltanto quasi. Alcune zone possono essere raggiunte soltanto a piedi, come la superba “Gola del Diavolo”, punto di incontro delle acque di vari torrenti che in questa gola, appunto, letteralmente sprofondano fragorosamente. Anche la fauna è abbondante con le sue centinaia di specie di uccelli che volteggiano nel cielo, incrociando e confondendo i loro colori accesi con quelli degli arcobaleni.
Chi ha visitato queste ed altre, dice che Iguazù offre scorci, paesaggi e atmosfere ben più spettacolari; io posso dire soltanto che queste sono capaci di reggere confronti impegnativi. Per me questa visita  rappresenta la vera, grande novità rispetto ad altri viaggi.
Intorno alle 16.00 si torna dal nostro Osvaldo che ci attende per condurci a visitare la bella città di Foz, posta sul territorio argentino. Si visita, poi al punto di incrocio dei confini dei tre Stati (Argentina, Paraguay e Brasile) si scattano foto di gruppo, quindi si decide di entrare in Paraguay per visitare, anch’essa sul confine, Ciudad del Este, un tempo intitolata addirittura Presidente Stroessner, in onore del dittatore. Una città orgia di mercati ambulanti, in preda al più sfrenato contrabbando, esplosa per il suo boom economico senza regole, dove domina il disordine, la malavita e uno squallore che impressiona. Noi ci limitiamo ad una toccata e fuga per tornare, quando ormai è comunque sera inoltrata, al nostro albergo, per incontrare il nostro giovanotto Marcos, che stasera ha fatto preparare un’ottima cena a buffet, utile anche a rimediare alla scarso pranzo consumato durante la visita alle cascate.
Al ristorante siamo oramai diventati il gruppo di riferimento e sembra che tutti siano in attesa del nostro arrivo che, come sempre, contribuisce a vivacizzare non poco l’ambiente. A conclusione della simpatica serata, la famiglia di Buenos Aires ci chiede l’autorizzazione per una ripresa video e a me addirittura un breve discorso di saluto.

8 Agosto

Stamani è prevista la partenza con l’aereo delle 12.00 per Montevideo. Si decide pertanto di utilizzare parte della mattinata per visitare la più grande diga idroelettrica finora in esercizio: Itaipù. Costruita dal Paraguay in collaborazione col Brasile, essa copre una superficie di 1.500 Kmq., sommergendo le meravigliose cascate di Sete Quedas, che si dice superassero per spettacolarità addirittura quelle di Iguazù. Si tratta, tuttavia, di una grande opera di ingegneria,  sviluppa ed applica tecnologie particolarmente avanzate, però ha completamente modificato le caratteristiche dell’ habitat precedente.
La società che gestisce l’impianto si è preoccupata di promuovere ed organizzare un sistema d’informazione molto efficace, anche nel tentativo di ammorbidire le reazioni contrarie. Noi si partecipa ad una visita organizzata, completamente gratuita, che ci accompagna proprio all’interno dell’impianto, offrendoci particolareggiate informazioni sulle sue caratteristiche, potenzialità, costi e benefici. A conclusione si è accompagnati a visitare un bel Museo dell’Ecologia, con il quale tentano di dimostrare come la realizzazione della diga abbia tenuto in debita considerazione ogni metodologia tesa a rendere più accettabile l’impatto con l’ambiente naturale. Le visite sono molto partecipate, con circa 1.500 presenze al giorno.
Si parte poi per l’aeroporto dove si saluta il nostro autista Osvaldo, ci si mette in attesa per l’imbarco ed a metà pomeriggio si giunge a Montevideo, capitale dell’Uruguay, che da molto tempo, senza capire il perché, sentivo il desiderio di visitare.
All’aeroporto, con pochi spiccioli, si prenota un maxitaxi che ci conduce al centro della città, esattamente all’ hotel Europa, che ci sembra (controllando come sempre la nostra guida) adatto alle nostre aspettative. Sarà davvero così e non ce ne dispiacerà affatto sotto ogni punto di vista, ma soprattutto per l’alta professionalità e lo squisito garbo del  personale, per i servizi offerti, per il fatto di trovarsi al centro della città. Nella hall funziona in modo abbastanza regolare il servizio internet; Gianni e Pietro ne approfittano per intercettare notizie e informazioni dirette da Firenze e dal Chianti.
Consumiamo la cena al ristorante del “Club Espana”, un club che mette insieme soci di origine spagnola, ma aperto a chicchessia. La qualità della cena risulta molto deludente e sconsigliabile, mentre coinvolgente è la musica che uno “chossaineire” da piano bar profonde per ogni più remoto angolo dal club. Cristina si esibisce in ballo, in modo così vivace ed attraente da catalizzare l’interesse e l’attenzione dell’intera platea, dello “chassoneire” e dell’intero staff di servizio. Ne siamo orgogliosi, anche se soltanto Pietro e Sandra tentano, stancamente, di reggere il confronto con l’impetuosità prorompente di Cristina, stasera davvero irrefrenabile.
E’ ormai notte fonda quando decidiamo di attraversare un paio di strade per tornare al nostro Europa e sprofondare nei suoi candidi letti, mai come quest’oggi tanto apprezzati.

9 Agosto

Dopo un’abbondante colazione consumata in Hotel, si esce e ci  imbattiamo subito in un noleggiatore di minibus con il quale concludiamo immediatamente un contratto di affitto per un mezzo con il quale visitare l‘Uruguay. Poi si parte per la visita della città, interessati soprattutto dalla sua Ciudad Vieja, un nucleo coloniale raccolto su una piccola penisola accanto al porto, un tempo circondato da mura. La Piazza centrale si intitola Independencia e da questa ci si immette direttamente, appunto, nella parte vecchia della città. Un quartiere caratteristico, ordinato e ben tenuto, dove ogni sabato si tiene un allegro “mercato delle pulci” che purtroppo però non offre particolari occasioni per acquisti. Si visita intanto il Museo “Torres Garcia”, sulla strada pedonale Sarandì, un artista contemporaneo, amico di Picasso e dei maggiori musicisti europei vissuti nei primi decenni del secolo scorso. Si procede poi verso il porto, dove un altro tipicissimo mercato anima l’intera zona. Il porto di Montevideo, all’epoca della sua inaugurazione nel 1868, era considerato uno dei più belli del subcontinente; oggi vive soprattutto perché si è trasformato in un tipico luogo di incontro di artigiani, artisti e musicanti di strada che si raccolgono all’interno dell’edificio del vecchio porto, un’imponente struttura in ferro battuto, dove ci si può servire (e ci si serve) di particolari tipici menù, consumati direttamente di fronte alla griglia. Qui si incontrano diversi connazionali; uno di questi, di origine piemontese, sbarca il lunario con le offerte degli appassionati di fisarmonica, che suona con grande maestria. E’ un disoccupato riciclato, prima lavorava nel settore laniero, oggi totalmente in crisi. Si scambiano alcune considerazioni sulle condizioni economiche e le prospettive del Paese che, ci dice, sono gravissime e senza prospettive rassicuranti.
Si passa poi alla visita del Palazzo Legislativo e ci si rende ancora più conto di trovarci in una città colpevolmente disastrata dall’esplosione urbanistica, preceduta da ingiustificabili distruzioni di interi quartieri tipici dell’architettura coloniale. Quel poco che resta è peraltro in vendita a prezzi stracciati, a riprova del suo scarso apprezzamento. Le strade sono sostanzialmente vuote, così come i negozi, anche perché il potere di acquisto (per noi vantaggioso) è per loro proibitivo.
Dal porto si risale verso la zona del centro e si visitano Casa Lavalleja, Casa Rivera e soprattutto Casa Garibaldi, in via 25 de Mayo 314, davvero appartenuta e vissuta dal nostro “Eroe dei due mondi”, che fu comandante della flotta dal 1843 al 1851 e si distinse per la sua partecipazione alla lotta per l’indipendenza del Paese.
Dopo un’ora di riposo, alle 20.00 si esce per un “Pizza party”; ce ne servono svariate qualità e quantità al prezzo speciale di circa 3 Euro a testa. Si conclude la giornata tornando nel vicino “Club Espana”, dove stasera si esibiscono in balli di tango e flamenco e dove incontro un anziano connazionale dispiaciuto di non poter contare su un pari “Club Italiano”. Io azzardo una promessa, ovvero quella di darmi da fare perché ciò si realizzi per rendere così felice il nostro nonnetto, ormai quasi ottantenne.
E’ passata mezzanotte quando torniamo a prendere posto nelle nostre comode camere dell’Europa.

10 Agosto

Stanotte non abbiamo rimesso la sveglia e si dorme così tanto profondamente che soltanto passate le 9.00 si è svegliati da Stefania, già pronta per partire per la visita al grande mercato domenicale, che si distende nelle strade limitrofe al nostro Hotel. E’ un enorme gran bazar dove si vende di tutto: dalla frutta all’antiquariato. Io ne approfitto per arricchire la mia collezione di binocoli, acquistandone due davvero singolari e a prezzi stracciatissimi.
La strada principale del mercato ci immette direttamente sulla piazza di fronte all’Università dove stamani è in programma una manifestazione del Fronte studentesco. Si assiste al comizio di un senatore che rappresenta un partito della sinistra. I temi trattati sono sempre gli stessi: maggiori risorse, qualità dell’innovazione, consolidamento della democrazia, diritti degli studenti. C’è molto entusiasmo, ottima è l’oratoria del senatore, anche se la partecipazione è molto scarsa.
Intorno a mezzogiorno si parte per visitare i quartieri lungomare che si sono molto sviluppati in questi ultimi anni. Il quartiere Pocitos è fra questi. Il tempo è bellissimo e quindi una mezza giornata di mare alletta un po’ tutti. Ci si sposta a piedi, anche per visitare questa parte molto interessante della città coloniale. Le costruzioni sono quasi tutte ad un piano, coperte con terrazza; sono tutte diverse e tutte ben tenute. E’ un quartiere abitato e quindi molto vivace e curato. Da qui si accede alle prime spiagge, quelle frequentate (non in questo periodo, naturalmente) dagli abitanti di Montevideo. Io decido di rinunciare ad una sosta al ristorante del “club dei pescatori”, per percorrere un lungo tratto di lungomare, costeggiato da uno splendido campo da golf. E’ domenica e quindi molti stanno passeggiando, ognuno col loro “bricco di mate” che sorseggiano in continuazione. Se ne trovano anche in Argentina, ma qui sono rari coloro che non lo posseggono: sembra sviluppi effetti benefici.
A metà pomeriggio si parte per la visita del “Cerro di Montevideo”, una montagnola conica alta 132 metri che consente una vista panoramica completa sulla città. C’è anche un interessante museo sulla storia dell’Uruguay. Il Cerro è molto frequentato, ma per niente pericoloso contrariamente a quanto qualche locale ci aveva fatto intendere.
Sull’autobus, merito anche della lingua che facilita il dialogo (anche qui una buona percentuale è di origine italiana e comunque quasi tutti parlano italiano), ho l’occasione di tenere un lungo colloquio politico con una coppia di splendidi anziani, più che settantenni. Appartengono al “Fruente Amplio”, una specie del nostro “Ulivo” allargato a Rifondazione Comunista. Sono molto convinti (convinzione riscontrata anche in altre conversazioni) che alle prossime elezioni, fra un anno e mezzo, la sinistra governerà l’Uruguay. La simpaticissima discussione spazia su tanti argomenti, fino a parlare della situazione politica italiana, che conoscono perfettamente, dichiarano antipatia per il governo italiano e detestano il presidente Berlusconi.
Rientrati in città, ci concediamo un’ora di riposo prima di indovinare un altro ottimo ristorante sulla San Josè, “El Fogòn”, dove io e Gianni si insiste con la “parillada”, ancora una volta davvero ottima. Poco prima della mezzanotte si torna in Hotel, dove salutiamo i nostri cari amici della reception, che tanto ci hanno aiutato e consigliato durante il nostro soggiorno.

11 Agosto

Alle 8.30 si ritira il pulmino, prenotato qualche giorno prima. La direzione è verso Punta del Este; prima però si attraversa una suggestiva costa caratterizzata da numerose località balneari, con spiagge sabbiose ed ampie dune. Si sosta ad Atlantica, poi si incontra Piriapolis, già famosa località di vacanze negli anni ’30, dunque si giunge a Maldonado, capoluogo del Dipartimento, che pur essendo una famosa località balneare è riuscita a conservare una sua impronta ed atmosfera ancora tipicamente coloniale. Ma la nostra vera prima tappa è, appunto, Punta del Este, sicuramente una delle località più in voga di tutta l’America Latina. Da qui inizia l’Oceano Atlantico, ponendoci dunque fuori dal Rio de la Plata. Siamo in un periodo di bassissima stagione e le spiagge sono frequentate soltanto da qualche locale e da molti pescatori. Siamo già al primo pomeriggio e sdraiarsi per un po’ di sole e riposo è in questo momento la cosa più ambita. Ma cedere ad una vita troppo rilassata (o, come è solito ricordarci Pietro, prenderci un po’ di vacanza) non fa per noi, come avrete sicuramente capito. Insomma, scommettiamo sempre sull’utilizzare tutto il tempo a disposizione per soddisfare le nostre conoscenze e curiosità, riservandone soltanto scampoli alle esigenze del nostro fisico (anche perché, ancora, possiamo permettercelo!).
E’ così che a metà pomeriggio ci si mette sulla strada per Punta Ballena, un panoramico promontorio che già di per sé rappresenta un formidabile motivo di attrazione. Ma per noi la vera attrazione è la visita alla “Casa Pueblo”, un’insolita villa che il più grande pittore uruguayano vivente, Carlos Paez Vilarò, su questa pendice si è fatto costruire. Si tratta di una vasta costruzione, in stile mediterraneo, articolata su più livelli, tutta completamente bianca; insomma una specie di labirinto, che di quando in quando si apre sull’Oceano attraverso terrazze e balconi che offrono una spettacolarità unica. Questa è naturalmente anche la sua galleria d’arte, dov’è rappresentato tutto il suo lungo percorso artistico, davvero particolarmente interessante.
Vilarò è anche un poeta. Una delle sue poesie si intitola “Hola Sol..!” e viene letta direttamente dall’autore, esattamente all’ora del tramonto, per celebrare la “Cerimonia del Sol”, con tutti i visitatori raccolti sulle terrazze affacciate sull’Oceano. Rappresenta indubbiamente uno dei momenti più struggenti dell’intero viaggio, non mancano le commozioni e perfino le lacrime, almeno quelle di Sandra. Poi il poeta, anziano ma in ottima forma, ci raggiunge per salutare, prestarsi per le foto, per rilasciare dediche sui suoi numerosi cataloghi ed anche per scambiare qualche parola; quando apprende che veniamo da Firenze, commenta: “Firenze è l’Arte”.
Si è trattato di una giornata di relax, ma anche di momenti molto intensi, una giornata che si concluderà al Casinò, dove Cristina, Stefania e Sandra si mettono a giocare, purtroppo senza consentirci di diventare miliardari. Gli alberghi sono per lo più chiusi, si dorme da soli in un affittacamere e si consuma la cena in un locale sul mare, al Club dei pescatori.

12 Agosto

La giornata di oggi è interamente dedicata alla visita dell’area interna, dopo aver costeggiato l’oceano. Di prima mattina, però, si visita il centro di Punta Del Este, una città completamente vuota in questa stagione, ma con i segni tipici di una piccola-grande metropoli turistica. A metà mattinata si parte per visitare le numerose e preziose località marine: Josè Ignacio mantiene ancora la sua caratteristica di tranquillo villaggio di pescatori, per quanto sia stato anch’esso interessato da un notevole sviluppo turistico. Sull’ora di pranzo si giunge a La Palma, ormai capace di rappresentare una vera e propria alternativa a Punta Del Este. Le spiagge sono splendide e penetrano fino all’interno della città, avvolta da vaste aree alberate. Un luogo assolutamente invitante, tant’è che decidiamo di organizzare un pic-nic sulla spiaggia, acquistando gli alimenti ad un fornitissimo supermercato.
Poi si decide una sosta nella città di Rocha, pittoresco capoluogo dell’omonimo dipartimento, con alcune caratteristiche urbane risalenti al periodo coloniale. Abbiamo ormai abbandonato la costa e ci stiamo dirigendo verso Minas, attraverso paesaggi incontaminati, colline dove dominano pascoli e coltivazioni rigogliose. Un ambiente talmente rilassante che concilia il sonno ai più e distrae gli altri fino al punto da confondere le strade, ritardando così l’arrivo alla meta, che si raggiunge quasi all’imbrunire.
Minas si appoggia su piacevolissime colline, con ampie aree a parco, nota soprattutto perché ricca di sorgenti di acque minerali, tutte purtroppo in mano a società straniere. E’ così per l’acqua minerale (francese), ma è così anche per la produzione della birra e del cemento, industria molto sviluppata in questa regione. La città non offre granché, se non la solita piazza intorno alla quale ruota l’intera vita cittadina. Cristina è la più critica e riesce a riaversi soltanto dopo la visita ad una straordinaria Casa della Cultura, molto vivace, piena di attività polivalenti e di laboratori frequentati da giovani e ragazzi. Sono proprio Cristina, Stefania e Sandra, donne di scuola, a farsi coinvolgere sia dalle insegnanti che dalle ragazze e ragazzi, che ci accolgono e ci guidano con simpatia e grande orgoglio nel presentarci le loro attrezzature, i loro progetti, le loro attività nel settore dell’arte, della musica, delle lingue. Un vero esempio di centro culturale attivo, interdisciplinare e molto partecipato. L’albergo prescelto è il Verdun, dove in attesa della cena Pietro, Gianni ed io ci sfidiamo al gioco del biliardo, mentre le signore si rilassano su un ampio divano, cianciando di tutto un po’, di fronte ad un camino ardente.

13 Agosto

Al mattino il proprietario dell’hotel ci racconta del nonno italiano, che agli inizi del ‘900 aveva intitolato questo albergo a Garibaldi. Ci salutiamo con molta gentilezza e si riparte verso Colonia, attraversando una campagna intensamente coltivata, segno di terreni molto fertili. Purtroppo il poco tempo a disposizione non ci consente di visitare il Parco Salus, appena fuori dalla città.
Si arriva a Colonia nella tarda mattinata, si sceglie un albergo sulla piazza centrale, il cui proprietario e gestore è un italiano che trascorre alcuni mesi all’anno anche in Italia (prevalentemente a Camaiore, dove con altri soci gestisce un’azienda produttrice di contenitori di gelato). E’ questa un’occasione invidiabile per essere ragguagliati su molti aspetti della vita dell’Uruguay, che sta subendo un forte isolamento dall’Europa a causa della ridotta competitività del peso, specialmente in questi ultimi due anni; una situazione economica molto grave, destinata ad aggravarsi per il continuo rafforzamento dell’Euro.
Colonia è davvero una bella città, particolare per queste terre, ancora tipicamente conservata nel suo impianto secentesco. E’ una città dove non è mancata una continua opera di restauro, forse addirittura esagerando in troppa leziosità. Si scopre che è una città ideale anche per fughe d’amore e lune di miele, come quella di una coppia (americano lui, australiana lei) che ci confessa (a Sandra e a me) di non trovare la voglia di ripartire.
Si decide per un’immediata visita al Barrio Historico, l’antico nucleo coloniale, composto da irregolari strade acciottolate, situato su una piccola penisola che si protende sul Rio de la Plata. Si accede al barrio attraverso la Puerta de Campo, che si apre su la Plaza Mayor 25 de Mayo, a lato della quale si snoda la notissima Calle de los Suspiros. Il quartiere è dotato di alcuni interessanti musei, di molti edifici storici (Convento di San Francesco, Casa de Lavalleja) e di un’atmosfera calda ed accogliente, che sembra sia una speciale caratteristica della città. Percorrere i suoi vicoli ben ordinati e puliti è così piacevole che le  dedichiamo l’intero pomeriggio. Al rientro, di fronte al Municipio, si è coinvolti da una chiassosa manifestazione popolare, tipica di queste terre, che festeggia un giovane sportivo, reduce dalla vittoria della Coppa sudamericana di canottaggio.
Il proprietario dell’ hotel ci consiglia di consumare la cena alla Boteguita, anch’essa all’interno del Barrio Historico, specializzata in pizza, che stasera preferiamo dopo la troppa ciccia.
Prima di dormire approfittiamo della Rai International (che qui funziona alla perfezione) per le notizie di casa nostra e si è impressionati soprattutto da quelle provenienti da Parigi, dove si stimano in migliaia i morti per il caldo eccessivo. Questa è anche l’occasione (purtroppo tragica) per farci apprezzare ancora di più il clima e la temperatura che, nei Paesi da noi visitati,  ha oscillato piacevolmente fra 10 e 25 gradi.

14 Agosto

Da Colonia si parte per Buenos Aires col battello delle 9.15. Si torna in Argentina dopo aver sbrigato speditamente le normali operazioni doganali.  L’attraversata del Rio de la Plata scorre tranquillamente e dopo appena un’ora si è di fronte a Buenos Aires, il cui panorama è purtroppo offuscato da un cielo molto grigio. Si ha subito tuttavia l’immagine di una grande metropoli, dove io torno (molto volentieri) a distanza di 13 anni. L’avevo visitata nell’ottobre del 1990, in occasione del Congresso Mondiale delle Città Gemellate, quando ebbi l’onore di guidare la delegazione della Provincia di Firenze. Si sceglie un Hotel centrale e di buona categoria, dato che siamo agli ultimi giorni del viaggio. Si accontentano così le signore e si opta per il “Castellar”, ottima scelta per tutti ed ancor più per gli amanti della letteratura, dato che qui visse, nella camera 707, il grande Federico Garcia Lorca, dall’autunno del 1934 alla primavera del 1935.
La voglia di penetrare immediatamente questa metropoli è comprensibile e giustificata. Una metropoli che al primo impatto potrebbe apparire perfino banale e priva di particolari suggestioni e che in realtà è ricchissima di scoperte inesauribili. Una città che il grande scrittore argentino, Luis Borges, ha elevato ad un vero e proprio mondo. Senza indugi si parte per raggiungere il suo luogo simbolo più conosciuto nel mondo: la Plaza de Mayo. Sulla piazza si affaccia la “Casa Rosada”, la sede del Governo.
E’ in questa piazza, pertanto, che si tengono le manifestazioni di protesta più significative. Stasera ve n‘è una sindacale contro l’aumento del costo dei servizi pubblici, sembra dovuto al gigantesco indebitamento in cui è sprofondata l’Argentina. Ma oggi è giovedì e come ogni giovedì pomeriggio, alle ore 17.00, si svolge la manifestazione delle “Madri di Plaza de Mayo”, ovvero delle tante madri alle quali i governi dittatoriali degli anni ’70 e‘80 hanno fatto scomparire i propri figli, colpevoli semplicemente di rivolgere loro critiche, magari giustamente aspre. Si tratta di una manifestazione particolarmente toccante, che non può non commuovere. Noi ci confondiamo con queste madri, ormai anziane ma ancora fortemente determinate, che sfilano con il capo coperto da un velo bianco e con al petto la foto del loro o dei loro “desaparesidos”.
Sul tardi si passa alla visita del “Cabildo”, il vecchio municipio dell’epoca coloniale, anch’esso affacciato sulla piazza; è da qui che nel 1810 fu proclamata l’insurrezione contro la Spagna. Oggi è sede di un museo storico e soprattutto simbolo dell’indipendenza nazionale, insieme alla Piramide de Mayo, al centro dell’omonima piazza.
Poi tocca alla Cattedrale Metropolitana, posta in angolo sulla piazza, venerata soprattutto perché ospita la tomba del “General Josè de san Martin”, il più grande eroe nazionale; fu anche liberatore del Cile e del Perù, prima di morire esule in Francia nel 1850.
Il quartiere è ricco di tante altre presenze storiche: dalla Basilica di san Francesco alla Chiesa di San Ignazio, dal Museo della città al Collegio Nazionale.
Quando ormai il tempo per le visite è scaduto, si decide per una passeggiata sulla più celebre strada “portena”: Florida. Rigorosamente ad uso pedonale, è il cuore degli appuntamenti e del commercio, ma anche dello spettacolo di strada, che con il “Tango” invade l’intera città.
Per la cena si decide di provare la “Mejor parillada de Argentina”, su consiglio mio e di Gianni. Si mangia a self-service ed a prezzo fisso (14 pesos, circa 4 euro); si può consumare quanto e tutto ciò che più ci aggrada. Una cena straordinaria, piacevole anche per l’accoglienza e la cortesia. Siamo vicinissimi all’ Hotel, possiamo dunque permetterci di straviziare un po’ e di ritardare il rientro, specialmente dopo che le nostre compagne, nel lasciarsi a confidenze amatoriali, hanno candidamente confessato le scarse pratiche notturne di noi uomini.

15 Agosto

Oggi è ferragosto. Decidiamo di accogliere una proposta di Pietro: fare colazione non prima delle 9.00. Stefania e Gianni partono poi per alcuni acquisti, mentre noi si è incaricati del cambio. L’Euro è molto forte e sta crescendo: all’inizio del viaggio 1 Euro valeva 3 Pesos, dopo venti giorni 3,24. L’appuntamento è nel quartiere della “Recoleta”, di fronte alla Chiesa di Nostra Signora del Pilar, costruzione coloniale immersa nei giardini omonimi. Un quartiere storico, molto esclusivo e frequentato, anche per la presenza di molte istituzioni culturali. Accanto alla chiesa, si apre il monumentale cimitero della “Recoleta”, dove tra i suoi vialetti all’ombra dei cipressi, giace buona parte di coloro che hanno fatto la storia argentina: qui riposa anche l’osannata Evita Peron, una delle tombe anche stamani più visitate.
La visita del Museo di arte contemporanea (visita gratuita) supera ogni nostra aspettativa, sia per le collezioni argentine, sia soprattutto per le opere dei più grandi maestri di tutto il mondo: Picasso, Monet, Lucio Fontana, Rodin, Van Gogh, Gauguin, Toulouse-Lautrec e tantissimi altri.
Il quartiere è ricco anche di molti parchi, dove sono installate sculture di artisti contemporanei. Si attraversano per poi incamminarci lungo Avenida del Libertador e raggiungere la Torre Monumental, donata dalla comunità inglese in occasione del centenario dell’indipendenza argentina. Si sale sulla torre, da dove Gianni e Pietro possono scattare alcune delle foto più panoramiche della città.
A metà pomeriggio si è prenotato la visita guidata alla Casa Rosada; un’ora attraverso le varie sale che non riescono ad impressionarci granché. Una struttura costruita sull’antica fortezza, da un’architettura difficilmente catalogabile, con un ampio balcone dal quale si affacciavano Peron ed Evita per comunicare con il loro popolo.
Poi, mentre io e Sandra ci prendiamo un po’ di riposo, gli altri si dirigono verso la Via S. Fè, si dice eccellente per i negozi, anche se pare sia in realtà molto deludente. Pietro ne approfitta per un taglio di barba e capelli, all’eccezionale costo di ben 6 pesos.
Alle 20.00 si torna a cena nel ristorante della sera precedente. Stasera c’è anche la musica, essendo ferragosto, ma noi si abbandona poco dopo le 22.00.

16 Agosto

Siamo giunti quasi alla fine del viaggio e resta qualche scampolo di tempo per gli ultimi acquisti. Il gruppo si divide, proprio per agevolare la soddisfazione delle diverse esigenze. Pietro e Cristina acquistano un bellissimo violino per Enrico, che ne sarà giustamente soddisfatto. L’appuntamento è a mezzogiorno al quartiere “La Boca”. Fondato da immigrati liguri, è il tipico quartiere italiano. Il “Caminito” rappresenta l’isolato più colorato e colorito di tutta Buenos Aires, con la sua passeggiata tra murales e bancarelle varie, il tutto naturalmente rallegrato da vivaci gruppi musicali di strada. E’ la parte più simpatica della città; qui si respira davvero un’atmosfera italiana e di italiani sono invase le strade, i caffè, i negozi. E proprio in una di queste strade si incontrano tre ragazze di Bergamo che sono giunte fin qui quasi esclusivamente per il loro grande piacere di ballare il Tango. Ci spiegano la loro grande passione, ci informano sui luoghi dove in Italia si impara e si pratica, accennano a qualche mossa che rende eloquente la forte attrazione di questo splendido ballo.
Il Tango, “… un pensiero triste che si danza…”, l’ ha definito qualcuno, forse Luis Borges, il più grande scrittore argentino di tutti i tempi. Noi, con l’ eccezione di Cristina, non siamo grandi esperti di ballo e tuttavia il tango prende e coinvolge. Un ballo che, con gesti pieni di malinconia, racconta l’amicizia come l’odio, l’amore, la passione, la tragedia. Un’andatura mossa da passi strascicati e allungati che testimoniano il primo e il più antico passo di danza argentina. E’ un ballo che si balla ovunque, nei locali preposti, come semplicemente sulla strada. Ed è sulla strada che si insegna e si impara ballare il tango. I maestri sono tanti, ma il Maestro simbolo, anzi sinonimo della parola tango è Carlos Gardel. Di origine francese, fu il migliore interprete di questo modo di essere argentino, di questo ballo vissuto come “…sfumatura romantica della tristezza…”.
Si sceglie di pranzare in uno dei tipici ristoranti del porto, dove naturalmente il tango allieta la compagnia. La ragazza della coppia ballerina è giovane e bella; si propone per una foto con Pietro che, ovviamente, non si tira indietro. Anche i piatti sono buoni ed abbondanti, specialmente quell’insuperabile frittura di Stefania e Gianni che riescono a consumare soltanto a metà.
Subito dopo si parte per recarci alla visita del Teatro Colon, prenotata fin dalla mattina. Il Teatro Colon rappresenta un vero e proprio monumento, il teatro lirico più importante di tutta l’America Latina e si affaccia sull’Avenida 9 de julio: la sdrada più larga dell’intero pianeta. C’è una discreta fila di attesa e mentre Sandra, Stefania e Cristina svolgono le operazioni preliminari alla visita, le mie condizioni di salute (già un po’ precarie fin dalla mattina) si aggravano improvvisamente. Sento la febbre salire; non resisto e con immenso dispiacere e rabbia decido sull’istante di ritirarmi in albergo. Obbligo Sandra, che vorrebbe accompagnarmi, a restare. Se non altro si goda almeno lei lo splendore di questo monumento. Corro col taxi ed alla reception chiedo di un medico. Appena in camera controllo la febbre che svetta oltre i 40. Tremo e con me tremola il letto, fin quando (dopo appena venti minuti) bussa ed entra una giovane ragazza, il mio medico. Si presenta, conosce già il mio nome, è di una gentilezza inenarrabile. Mi visita e subito mi tranquillizza dicendomi che comunque mi guarirà. Si tratta di un’infezione alle vie urinarie; serve l’antibiotico che, per ben tre volte, mi avverte essere molto costoso (naturalmente per loro!). Un servizio impeccabile, completamente gratuito, malgrado la mia insistenza nel voler contribuire in qualcosa. Poi la ragazza (anch’essa, ovviamente, di origine italiana) chiede, nel congedarsi, di potermi baciare e rivolgermi un augurio che sento proprio di cuore. Appena rientra, Sandra  si preoccupa delle medicine e del relativo servizio in modo così efficace che al mattino sono completamente ristabilito e pronto per il mercato domenicale.
Gianni, Stefania, Cristina e Pietro passano, invece, parte della notte nello storico “Caffè Tortoni”, sull’Avenida de Mayo, sia per la cena che per lo spettacolo quotidiano.

17 Agosto

E’ domenica, il giorno ideale per visitare  S. Telmo, uno dei quartieri più antichi e affascinanti della città, oggi caratterizzato dalla presenza di artisti, musicisti ed intellettuali, dopo essere stato anch’esso quartiere dell’immigrazione. Da oltre trent’anni S. Telmo è anche il quartiere dell’antiquariato ed è qui, in Piazza Dorrego, che ogni domenica si tiene una straordinaria fiera delle collezioni più tipiche e caratteristiche. Ma è anche il quartiere dove ad ogni incrocio, sui marciapiedi, in tutti gli spazi disponibili, sfilano a passo di tango, uomini e donne, ragazzi e vecchi.
Ci immergiamo immediatamente all’interno della piazza, sfruttando l’occasione per partecipare a questa sorta di festa popolare, turistica ma autentica, non mancando naturalmente alcuni acquisti, specialmente da parte di Cristina e Stefania. S. Telmo è anche un quartiere pieno di gallerie, caffè e negozi, dove naturalmente domina l’antiquariato. Ci imbattiamo nella “Tenda genovese”, dove il proprietario di Sarzana ha messo in bella mostra le foto della visita  di Romano Prodi e di Massimo D’Alema, in veste di Presidenti del Consiglio.
Poi è la volta del Puerto Madero, già porto nazionale, oggi pressoché inutilizzato come tale, perché  restaurato e restituito recentemente alla città come sede di numerose attività ricreative, sportive e culturali. Fra le istituzioni culturali, il centro dell’Università Cattolica e senz’altro uno dei più interessanti. Tutti i locali sono affollatissimi, pieni di famiglie argentine che si riversano qui ogni domenica. Il tempo stringe, si consuma qualcosa sul porto e si parte per un altro quartiere: Palermo, il quartiere dei grandi spazi verdi, dei parchi e dei giardini. Punto di riferimento è Piazza Italia per poi visitare l’Orto Botanico, sbirciare il Giardino Zoologico e soprattutto passeggiare lungo gli interminabili viali insieme alla gente del posto. Ovunque anche qui è una festa ed ovunque si impara e si balla il tango.
A Buenos Aires siamo in piena campagna elettorale; la prossima domenica si svolgeranno le elezioni per l’amministrazione della città metropolitana. La campagna elettorale è fortemente sentita, animata e  partecipata attraverso manifestazioni che si svolgono ovunque. Non manchiamo di chiedere notizie, di aggiornarci sulla situazione. A Buenos Aires governa un’amministrazione di centro-sinistra e c’è convinzione della sua riconferma. Impressiona soprattutto la grande quantità di manifesti che vengono appiccicati ovunque; fra questi uno del Partito Obrero che si pone l’obiettivo di un salario minimo mensile pari a 900 Pesos, ovvero a circa 300 Euro.
In tarda serata si rientra al centro della città e si sceglie un raffinato ristorante per la cena, in pratica l’ultima del viaggio.

18 Agosto

L’ultimo giorno è dedicato essenzialmente al Delta del Tigre, ma prima si visita (anche se soltanto dall’esterno) il Palazzo del Congresso, sede della Camera dei deputati e del Senato. Un’architettura fredda e mediocre, ornata di colonne e statue, che vorrebbe ispirarsi al Campidoglio di Washington. L’impatto più interessante di questa mattina è con una manifestazione che si svolge nei pressi, alla casa della cultura, alla presenza del Presidente del Venezuela, un presidente molto amato perché simbolo del possibile riscatto autonomistico dell’America Latina nei confronti degli Stati Uniti. Ed ancora una volta si ha l’occasione per dialogare con i manifestanti e per avere conferma del forte collante antistatunitense, fino al punto di giustificare (da parte di taluni) anche eventuali dittature nazionalistiche, qualora utili allo scopo.
Alle 11.00 si parte in treno e dopo circa mezz’ora siamo sul Delta del Tigre, nella regione dell’immenso estuario del Rio della Plata, in un’area composta da canali e canneti, fatta di labirinti d’acqua e di centinaia di isole, meta sia di gite quotidiane, sia soprattutto sede di un vero e proprio insediamento di ville e villette per il fine settimana. Con un battello si attraversano i vari canali del delta, apprezzandone soprattutto le sue qualità naturalistiche.
Quando si rientra in città non resta che il tempo per gli ultimi preparativi, per un rapido spuntino e per l’attesa di un taxi che ci conduca all’aeroporto per decollare, in nottata, alla volta di Roma, dove giungeremo a metà pomeriggio del giorno successivo, in tempo utile per la coincidenza del pendolino per Firenze. Tutto in perfetto ordine e sincronia.
E così si conclude un altro dei nostri viaggi, con ancora una volta la promessa per una nuova partenza, quanto più prossima possibile. D’altronde, si dice che stia proprio in questo la differenza fra il viaggiatore ed il turista: …il turista viaggia in funzione del ritorno, mentre il viaggiatore ritorna per un nuovo viaggio.
E siccome, per motivi più vari, quest’anno ho impiegato molto tempo per la stesura di questo diario (tant’è che è pronto soltanto a metà novembre), al momento delle sue ultime battute sto già fantasticando (anzi, programmando) una nuova méta, forse addirittura per le prossime vacanze natalizie. Per motivi scaramantici non vi dirò quale sia, ma se così sarà, ci risentiremo nella prossima primavera, magari con un nuovo resoconto.