La Resistenza e la costruzione dell’Europa

Chi parla è donna di scuola, talvolta accusata di essere scuola-centrica, addirittura scuolipeta, ma sono convinta che una scuola ricca, aperta e interagente col territorio aumenti la ricchezza di tutti.

Mi domando e domando questa separazione e distanza fra istituzioni portanti del processo educativo che troppo spesso registriamo cui prodest?
Il concetto di politica culturale integrata è molto affermato e poco praticato, ancora sono poche le esperienze di enti che trovano convergenze per tessere una tela comune: troviamo anche molta ricchezza di proposte, ma si dovrebbero evitare sovrapposizioni, progettare e agire insieme e non solamente accanto.
In questa occasione alcuni docenti sono chiamati a sperimentare un tirocinio su progetto.
Importanza del tirocinio: risorsa per la scuola, ma anche e soprattutto tentativo ed esempio di  integrazione fra scuola (portatrice di esperienze consolidate) SSIS (portatrice di energie fresche e stimolanti) e università.
Si propone quindi un lavoro basato sul concetto di integrazione fra studi, fra ricerche e manuali scolastici, una sorta di interconnessione fra dire e fare, otium et negotium pedagogico.
Il filo conduttore fra Università e scuola è soprattutto il docente, quella tipologia di docente che, come l’artisan philosophe, mentre si sporca le mani col fare, non perde d’occhio lo statuto scientifico del suo settore disciplinare e le grandi linee della pedagogia scientifica attuale.
Mette in pratica l’idea del laboratorio didattico: progettare per fare e fare per riprogettare, labor è sforzo, fatica, rigore,
un agire responsabile quindi dove l’esperienza è il banco di prova della teoria.

Ma veniamo all’argomento. Gustavo Zagrebelsky in Insegnare democrazia, scrive fra l’altro un interessantissimo Decalogo contro l’apatia politica.

Purtroppo la democrazia non partorisce se stessa, ma spesso apatia politica. E allora bisogna intervenire più decisamente e con strumenti diversi.
Molte le voci di quelli che chiamo gli apocalittici: i giovani sono apatici, indifferenti, sono i “nuovi barbari” (Baricco)…
Ma i giovani sono davvero senza cultura né storia, come appaiono da un’opinione pubblica ottusa e superficiale? Oppure non si conosce bene il loro modo di pensare, la loro cultura i loro stili di vita?
La scuola pubblica ha come compito primario la formazione civile, la scuola deve investire in democrazia, scuotere, stimolare, promuovere ideali e utopie.
Deve formare  persone, individui e non masse, cives e non clientes.
Da qui dovrebbe partire una riscoperta dell’agorà, di una politica che non sia esercizio di potere o governo dell’esistente, ma dialogo, dibattito, incontro di idee e di progetti.
E’ possibile insegnare che cosa è la democrazia, è più difficile insegnare ad essere democratici (sappiamo che non è la conoscenza della virtù a formare i virtuosi).
Ma ideali e virtù sono insegnabili?
L’importante è sapere, ma il compito degli educatori non può fermarsi qui.
La democrazia è difficile (non è dogma, è persuasione), è lenta (non va in aereo, ma pensa a piedi, non pensa con il computer, pensa con il cervello), è tortuosa (non guarda solo al qui e ora, ma al prima e al dopo),  stanca, viene a noia (pensa con il congiuntivo più che con l’indicativo), è complessa e faticosa (non considera solo la realtà ma il suo sconfinamento), chiama in causa perché “La democrazia non promette nulla a nessuno, ma richiede molto a tutti” (Zagrebelsky).

Per esempio compito di tutti i docenti e non solo degli insegnanti di storia dovrebbe essere:

  • riconoscimento della centralità dello studente, riconoscimento di dignità
  • cura dell’originalità
  • senso dell’uguaglianza
  • educazione all’uso del pensiero convergente e divergente
  • abitudine al dialogo (impegno e dialogo recentemente ricordati dal Presidente della Repubblica)
  • autorevolezza e non autoritarismo
  • rispetto di sé e rispetto degli altri.

Ma anche, e questo per gli insegnanti di storia, una  storia non più come insegnamento di fatti, ma costruzione della loro significazione.
Gli studenti sono attori capaci di dare senso  al proprio mondo non pedine dello scacchiere della storia.
In questa nostra società così complessa occorre un civis  con forte senso dell’identità storica e culturale, ma che sa allargare il proprio compasso dell’orizzonte.
Il legame identitario con la propria cultura è così forte, tanto che non ha paura a metterlo in gioco.
Non erge barriere (visibile e invisibili), non costruisce moenia, ma cum munibus, costruisce rapporti e dialoghi, senza paure, né tolleranze, costruisce solidarietà, mettendo in comune i munus.
Attuale paesaggio storico assai problematico.
Epoca di turbolenza antropologica: mutamenti continui, continua necessità di negoziazioni e ridefinizioni.
La recente antropologia ci ha insegnato che la cultura non può essere un alibi per tracciare confini, intesi come linee nette e invalicabili, bensì un crocevia di storie, di idee, di sogni e di identità. Un senso del dove fortemente proiettato verso l’altrove.
Compito fondamentale della scuola sarà quello di favorire e governare un processo di integrazione europea.
Molte le aspettative sulla Carta Costituzionale europea, ma il problema sarà quello di formare cittadini capaci di elaborare un progetto politico per l’Europa.
Dovranno agire con occhio critico e propositivo su un uno scenario europeo dominato da una sostanziale incapacità di coniugare interessi nazionali contrastanti con l’interesse comune, di risolvere pesanti problemi economici, di venire a capo delle numerose problematiche identitarie.