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Fra mito e storia: percorsi dell’identità femminile

È tutta colpa di Eva? Ancora non lo sappiamo, sappiamo però che Eva, la prima tentatrice e responsabile del peccato originale, ha inaugurato un duro percorso dell’identità femminile in tutti i tempi.
Ancora oggi i modelli di donna diffusi dai mezzi di comunicazione di massa, che hanno così larga presa sull’immaginario collettivo maschile e femminile, sono vecchi e pericolosi.
Non ci piacciono né le Barbie, né le mammine melense stile “Mulino bianco”, né le bambine adultizzate, sempre vestite – o meglio svestite – come ‘veline’ televisive chiamate subito a candidarsi per ruoli precostituiti funzionali e subalterni ai desiderata della cultura di senso comune.
Insomma un sostanziale dualismo attraversa la cultura di tutti i tempi: la percezione del femminile ha oscillato e oscilla fra due modelli della fata e della strega.
Fate e streghe costituiscono una permanenza in tutti i tempi e in tutte le culture come archetipo del vissuto e dell’immaginario collettivo. Sono presenti in tutte le fiabe, pur nelle diverse sfumature.
Ma, a loro volta, fata e strega, rappresentano dualismi.
La strega fra le varie accezioni, presenta quella di adescatrice; infatti stregare e fatturare, significa anche incantare. Il sortilegio racchiude sempre in sé una sorta di incantamento.
Anche la fata è una figura ambigua e polimorfa, dalle identità plurime, con incantesimi e metamorfosi richiama i meccanismi della vita e della morte, a volte maga e strega nello stesso tempo. Anche nei vocabolari viene definita come “incantevole figura femminile della mitologia popolare”, dotata di poteri magici “per lo più benefici”: quel  “per lo più” insinua subito qualche sospetto.

La prima definizione scritta delle fate la troviamo nel Lancelot e la figura della fata si confonde subito con quella della maga:
“Dice il racconto che la damigella che l’aveva rapito era una fata, a quei tempi venivano chiamate fate tutte le donne che sapevano d’incantamenti e in Bretagna ve n’erano più che in ogni altra terra. Esse conoscevano le virtù delle parole, delle pietre e delle erbe e grazie ad esse si mantenevano giovani, belle e ricche a loro piacere…”

Donna provvidenziale: “sei la mia fata”.
“Mani di fata”, abili nei lavori domestici.
“Benefattrice”: dal tardo latino fata fatorum neutro plurale di fatum destino, e quindi dea del destino.
Fata: donna favolosa, genio, maga (Morgana, Circe, Armida, Alcina…).
Fatato: magico, incantato.
Fatale: prescritto dal destino, inevitabile, ineluttabile: “era fatale che ciò avvenisse”.
Il dì fatale è il giorno della morte.
“Le fatali conseguenze”, senso disastroso e funesto.
“Ultima ora dell’uom fatal”, Manzoni intende destinato a compiere imprese memorabili.
“Femme fatale”  dotata di irresistibile fascino e forza di seduzione.
Fatamorgana indica un particolare fenomeno di miraggio, per cui l’immagine di un oggetto appare come sospesa in aria, dovuta all’anomala rifrazione della luce in particolari condizioni termiche dell’aria.
Fatalità: caso e disgrazia.

Certo è che la figura della fata riveste un’importanza basilare per l’immaginario collettivo, maschile e femminile.
Nata nel folklore si innesta nel letterario con la duplice identità di madrina e di amante: grande dea che ricorda un tempo di perfetta parità fra uomini e donne ed è collocabile nella sfera del meraviglioso: sta nel mondo e nell’altro mondo, nel dove e nell’altrove, in quel non luogo dove si incontrano l’umano e il divino.
Assume forme meravigliose, ma bizzarre e inquietanti, muta di nome e di aspetto con un sostrato di identità plurima: d’altra parte gli archetipi non hanno mai un solo volto o una sola identità, ma trovano il loro senso nell’unione degli opposti.
La grande dea, la signora dai mille nomi, è proprio l’unione degli opposti che tutto connette: Luna, Iside, mito della fecondità base del mondo, seducente e misteriosa. Mito greco delle Parche, le Moire per i latini, le madrine e amanti che accompagnano gli eroi nei loro viaggi sono moltissime, dalla classicità greca fino all’età romantica riconducibili al culto di Iside.

Partenopeu de Bliose e nel Bel Inconnu da fata spiega i suoi poteri:
“Dio mi concesse la grazia di imparare
di bene intendermi di scrittura
Le sette arti per prima cosa
appresi e tutte perfettamente.
Dopo imparai la medicina
che si trova nelle erbe e nelle radici
e nelle spezie e il loro valore,
dopo il potere del freddo e del caldo,
e ogni cura per ogni male
e la loro causa e la loro natura;
non c’è malattia
che non sappia guarire,
dopo appresi di teologia
e ne so in abbondanza
dei vecchi culti e dei nuovi
che il significato del mondo governano…
appresi anche i sortilegi
la negromanzia e gli incantamenti.”

Anche l’aspetto iconografico mantiene questa immagine duale: orrida e sublime, bella e deforme, voluttuosa e truculenta. Semidea, mater mutata: scardinatrice della gerarchia del potere maschile, presente nelle culture di ogni luogo e di ogni tempo, trae la sua forza dalla natura per mezzo della sua intelligenza.

Medusa diventa l’emblema della bellezza trasformata in orrore: fanciulla bellissima che una notte Atena sorprese mentre si accoppiava con Poseidone, così, sdegnata, la trasformò in un mostro.
È la donna che pietrifica col suo sguardo, il suo fascino colpisce, avvince e plagia.
Nella società occidentale strega è speculare a Medusa, nell’accoppiamento con Lucifero-Satana (l’assoluto) produce conoscenza.
Medusa è la più fragile delle tre Gorgoni, tre numero magico: come le  e le Parche latine.
Lamiae, maleficae e striges sono i termini usati nella tarda antichità per indicare le donne dedite al maleficio.

La Letteratura classica è popolata da donne dedite ai malefici: le Maghe di Teocrito o Orazio, nella Teogonia Esiodo ci racconta delle Graie e delle Gorgòni, le Erinni, le Furie della mitologia romana che nacquero dal membro di Urano, moltissime quelle narrate da Omero: come Circe splendida e sensuale.
Antesignane della moderna tipologia della strega: Aletto, il furore, Tisifone, la vendetta e Megera l’odio. Il quinto giorno di ogni mese salivano sulla terra avvolte dalla nebbia, accompagnate dalla Paura, dalla Rabbia e dal Pallore per mangiare il cuore dei colpevoli.

Nella civiltà greca e romana coesistono due specifiche accezioni della strega: sacerdotessa e donna dedita alle brame d’amore. Nell’epoca medioevale campeggiano Morgana e Melusina.

In ogni epoca l’uomo ha codificato le donne entro questi schemi duali. Caravaggio e Rubens le hanno rappresentate pregne di passionalità e carnalità, non prive di forza e di violenza. Làmia e Medusa: senso del bello e del sublime, insieme al terrifico.

Modernità: permane ancora il dualismo, da una parte la mistica della maternità: “non lo fo per piacer mio, ma per dare un figlio a dio!” insieme a “son tutte belle le mamme del mondo” opposta a “balocchi e profumi”.

Mogli-madri-sorelle da una parte e Maddalene dall’altra, ma troviamo radicato il medesimo sprezzante stereotipo: “la donna è come il vischio, non si posa uccello che non ci lasci le penne!”

Permane quindi una rappresentazione della donna funzionale a un sistema maschile: una donna per il dentro e una per il fuori, una per il lecito e una per l’illecito, da una parte il dovere e dall’altra la libertà, il dovere della procreazione e la sensualità per il piacere.

La ritualità e la pubblicità fanno il loro lavoro sublimando gli stereotipi, esempi della Festa della mamma e dello Zecchino d’oro da una parte, la pubblicità delle auto dall’altra.
Colori tenui e tinte forti, metallo tenero e duro (ma qual è il più prezioso?)
Comunque tutte e due sono messe in comune da Non fu mai sì bella scarpa che non diventasse una ciabatta.
Per cui: Donne e oche tienine poche perché Ogni cosa è di Dio fuorché le donne.

Gli anni Sessanta portano nella cultura di senso comune modelli diversi Gigliola Cinquetti, Rita Pavone e finalmente una Caterina Caselli che rivendica Un uomo d’oro tutto per me.
Ma permane la divisione fra le ragazze perbene e le ragazze permale: santarelle e puttanelle.

Ma se le ragazze perbene vanno in paradiso il Sessantotto esplode e incalza con le ragazze permale vanno da tutte le parti…

Da allora a oggi i mutamenti sono stati continui, ma sembra sia molto difficile giungere a un concetto di uguaglianza nella differenza.

Lo scimmiottamento di modelli maschili per raggiungere il successo, quella che chiamo la donna con la pistola nelle mutande, ha creato pochi progressi, anzi ha aumentato paure e diffidenze.

I drammatici dati che abbiamo sulla violenza alle donne, sulla prostituzione e sull’assunzione di ruoli dirigenziali da parte delle donne confermano che il cammino da fare è ancora molto.