Per una scuola di qualità radicata nel territorio

In un’epoca di complessità crescente, si afferma sempre di più la necessità di una nuova ridefinizione dei saperi, soprattutto nella direzione di quei saperi utili alla crescita della partecipazione e della democrazia, produttori di cives e non di clientes. C’è bisogno di persone capaci di dare senso e significato al proprio agire, di progettare le proprie azioni e di gestirne le conseguenze, in sostanza portatrici di un sapere produttivo, e non solo riproduttivo.
Occorre prima di tutto il superamento di quell’impostazione ancora gentiliana della scuola italiana che distingue la cultura del fare, legata all’utilità e alla concretezza, dalla cultura del dire, teorica e astratta. Da una parte la scuola deve avere il coraggio di ridefinire le sue discipline per renderle più vicine alla vita, sapendole trasformare in conoscenze, competenze e capacità spendibili nella quotidianità; dall’altra la società deve considerare sempre più determinante l’apporto della scuola per la crescita complessiva della civiltà.
Voglio riprendere un esempio che ho già usato: se la biodiversità è una conoscenza, occorre che sia accompagnata dalla competenza che spinge alla cura e alla tutela dell’ambiente e dalla capacità di percepire ed estrinsecare quella spinta etica che porta a intraprendere azioni concrete conseguenti.
La scuola può fare questo e per questo è portatrice di un valore aggiunto per qualsiasi iniziativa culturale si voglia intraprendere: può sviluppare un pensiero positivo educando al senso della previsione e della prevenzione, in sostanza alla responsabilità sociale.
La scuola è un terreno fertile per tutte le istituzioni, perché riguarda tutti, perché è capace di produrre cultura di cittadinanza, indispensabile per vivere il presente con la responsabilità di costruire un futuro sempre migliore.
La società ha assegnato alla scuola numerosi compiti, che si sono tradotti in quelle che potremmo chiamare le educazioni, fra le quali si colloca appunto l’educazione ambientale. L’esperienza di questi ultimi anni ci insegna però che non basta aggiungere queste educazioni al curricolo, ma occorre ripensare i curricula delle discipline in senso formativo, finalizzandoli cioè all’acquisizione di una nuova etica della partecipazione, capace di elaborare scelte e costruire valori.
La scuola può esercitare questo suo ruolo centrale con diverse azioni:

  • riscoperta del senso sociale delle discipline (storia, geografia, scienze, ma anche matematica, ecc.) attraverso una ridefinizione del loro episteme e del loro aspetto interdisciplinare, spostandole dai profili specialistici alla formazione di base;
  • sperimentazione di una sorta di esplosione delle discipline capace di intercettare e rispondere alla domanda del territorio, cercando di avvicinare l’offerta alla domanda;
  • conoscenza delle competenze chiave richieste dall’Europa;
  • costruzione di curricoli in risposta alla domanda locale;
  • assunzione da parte delle scuole di una effettiva leadership culturale e istituzionale nel territorio;
  • garanzia della continuità delle azioni;
  • adozione di un’organizzazione modulare sempre più flessibile e più aperta a integrazioni e sviluppi, per costruire intrecci sempre più forti tra percorsi formali e non formali.

Così anche l’educazione ambientale potrà diventare un sapere di cittadinanza, spendibile nella quotidianità, capace di far passare la persona dalle dichiarazioni di principio alle azioni conseguenti.
Applicare il senso della cura, inteso come sollecitudine, dedizione, premura, vigilanza e sorveglianza, si traduce in impegno sociale. Significa coltivare il futuro: dal latino medioevale coltivare che deriva da cultus participio passato di cŏlĕre. Oltre al significato specifico di “lavorare una pianta affinché produca appositi frutti”, porta implicito il senso della cura, intesa come attenzione, dedizione, premura, il cui contrario è appunto trascurare.

Il senso del coltivare implica anche una concorrenza di forze e di azioni, un fare di soggetti diversi che agiscono per un fine comune.
Ma scuola e territorio sono abituati a collaborare, a cŏlĕre, ad agire insieme?
La crescita dell’istruzione è condizione essenziale per lo sviluppo economico e sociale, la scuola è portatrice di valori aggiunti per il territorio; ecco perché occorre che le istituzioni investano di più nella scuola e nella ricerca: la scuola è come un albero, si ciba della linfa del terreno, ma con le sue foglie e con i suoi rami restituisce moltiplicato il suo succo vitale.
Investire nella scuola significa investire nella crescita culturale dei futuri cittadini, per la salvaguardia e la crescita del territorio.
Lo sviluppo della ricerca educativa produce una elaborazione conoscitiva originale e sistematica che va a favore dell’intera comunità, da cui scaturisce la necessità di perseguire e programmare un’istruzione integrata, intessendo nuove alleanze. Si tratta di un gioco politico, sottile e dialettico, capace di far crescere tutti culturalmente nell’assumere un punto di vista di sistema basato su una reale integrazione e collaborazione di varie istituzioni.
Si può giungere alla costruzione di un sistema formativo integrato con una programmazione dell’offerta formativa in risposta ai reali bisogni della comunità, secondo principi di sussidiarità, differenziazione, adeguatezza delle azioni formative possibili.
Il territorio è composto di tante entità, è una compagine plurale che deve avviarsi a diventare comunità, intesa come unità dinamica nello spazio e nel tempo, un dove sempre proiettato verso un altrove. Lo stesso termine ambiente deriva da ambo ire, andare da tutte le parti, ampliando sempre di più il proprio “compasso dell’orizzonte”. In questo senso l’educazione ambientale può diventare un elemento distintivo e identitario per una dimensione di qualità nuova per la scuola: qualità formativa, istruttiva e organizzativa.
La scuola per valutare la propria qualità non può usare modelli pensati per altri settori, come per esempio l’industria, perché è un sistema totalmente differente; la scuola, per esempio, produce investimenti a lunga durata e gli aspetti organizzativi non sono prioritari, ma conseguenti. Gli indicatori di qualità da considerare dovrebbero essere relativi ai saperi, ai valori sociali, culturali e politici prodotti, e infine all’organizzazione, ma vista in un’ottica di sistema.
Dovrebbe scaturire da un’autovalutazione compiuta e funzionale, ben orientata dell’operari scolastico, didattico e formativo, che è insieme ricchezza, complessità, interazione.
La pratica dell’autovalutazione provoca tensione pedagogica, se supera la routinerie, l’adempimento burocratico, se diventa

  • risorsa per la progettazione curricolare spingendola nella direzione dell’integrazione e della sinergia;
  • sensibilizzazione di tutte le componenti, cambiamento della cultura interna, a piccoli passi, costruzione dal basso di un processo di miglioramento incrementale;
  • elaborazione di un modello di identità.

La scuola dell’autonomia non può esaurirsi in una scuola che sforna progetti, il P.O.F. non può essere identificato come una somma di progetti, ma dovrebbe diventare un progetto complessivo capace di elaborare significati in armonia con la cultura interna della scuola. Nella necessità di razionalizzazione e di unificazione, nella ricerca di nuove alleanze con enti e istituzioni, il progetto di miglioramento può trovare sinergie e farsi organico.
La legge che istituisce l’autonomia per le scuole è grande risorsa, se pensata nella filosofia della qualità valoriale, basata sulla metodologia del miglioramento incrementale, sulla riflessività e sulla lentezza.
I valori, scaturenti dalla riflessione teorica, devono diventare criteri in base ai quali si assumono scelte e decisioni, costituenti il momento prassico.
I valori potranno quindi assumere sia una funzione ermeneutica (aiutano a interpretare l’esistente), sia euristica (aiutano a procedere con la ricerca-azione).
Le scelte educative potranno così discendere dai valori dichiarati, all’insegna di un’armonia fra scelte educative, scelte curricolari, scelte didattiche e organizzative.
Non è questo un risultato di qualità?