Mensa e Accoglienza, fattori di serenità, di amicizia, di solidarietà fra gli uomini

Itinerario lessicale:

  • Invitare a mensa, ammettere a mensa
  • Preparare imbandire
  • Sontuosa e frugale
  • Desco, imbandigione, convito, convivio (Dante)
  • Pranzo, desinare, cena
  • Mensa sacra o mistica, altare, eucaristia: accostarsi alla sacra mensa
  • Mensa vescovile: beneficio
  • Mensa scolastica, mensa aziendale
  • Anfitrione, capotavola, commensale, invitato
  • A tavola non si invecchia
  • Metiri: misurare
  • Cameriere, coppiere, scalco, mescere
  • Servire, ammannire, amministrare, un atteggiamento di cura, partecipazione, promozione, condivisione…

Accoglienza: è un gesto racchiude una storia, il corpo parla (prossemica). Coltivare una relazione i cui sinonimi siano curare, affinare, migliorare, promuovere, sviluppare, nutrire (si nutre un sentimento). E i contrari: abbandonare, trascurare, negligere, lasciare incolto, essere ignavo, disinteressarsi, spegnere, maltrattare…
Accoglienza: trattamento, ospitalità: senso della storia e dell’identità collettiva, senso di appartenenza a una comunità (cum pane), la tradizione popolare serve alla trasmissione degli archetipi della cultura di appartenenza. E’ un modo per combattere l’omologazione planetaria, è un modo per far nascere il senso delle radici e della comunità.
Perché fa parte di una comunità chi ha e mette in comune doni (cum munibus), i doni della storia e della cultura di appartenenza. Chi ha il “compasso dell’orizzonte” (per dirla con Remo Bodei) ben piantato nella propria cultura, potrà diventare cittadino del mondo, perché non avrà paura di aprirlo verso mete via via più lontane.
E’ il cum, il senso dell’insieme, che va costruito con ogni mezzo. Altrimenti il senso dell’uguaglianza rischia di diventare omologazione.
E la tradizione è importante, non solo perché deve essere conosciuta e conservata, ma anche perché deve essere sviluppata: qui stanno le radici di un futuro migliore.
La fratellanza derivante dal senso della comune appartenenza serve a non aver paura degli altri, a considerare i confini come segni che possono e devono essere scavalcati, per aumentare con ibridazioni feconde la ricchezza della propria cultura.

Cibo è un mondo ricco di significati, spesso riconducibili a una comune umanità che attraversa le più diverse culture. E’ una catena che si snoda di persona in persona e che sintetizza mirabilmente in quella forte stratificazione culturale sedimentatasi con lentezza, decantandosi nel tempo negli archetipi culturali.
Risvegliano emozioni, comunicano significati nascosti, aspirazioni, sogni, lotte, contrasti.
Pane. La dea del pane è Cerere, da qui cereale.
Saccaromicis cervisiae produce la fermentazione degli zuccheri degli amidi.
Pane è anche l’ultima zolla di terra che sta attorno alle radici.
Metter il pane a una pianta è un piccolo gesto che comunica molti significati.
Fare il pane ha a che fare con la necessità, con la misura e con l’attesa.
Se lo dimentichi, va a male.
Il pane non vuole fretta (lievitazione).
Il pane non finisce mai (“Leggere e scrivere in tutti i sensi”, Morgana, Firenze 2003 – Giusi Quarenghi, pp.57-68).
Pane: dispensa di sapienza. (Giusy Quarenghi)
Contiene la sazietà e la fame.
Marina Cvetaèva: odio la sazietà dei sazi e la fame degli affamati.
Qui il pane è giustizia.
Pane: partire da qualcosa che c’è, per fare qualcosa che non c’è, poi ci sarà, ma la prima volta non c’è.
Farina, grano: grano duro, grano tenero, il golia, l’aquileia, il Kamut, il pandas, si possono mescolare grani di orzo, di farro, di grano saraceno, di segale, avena e riso…
Il kamut  è l’antenato del frumento, nato in Mesopotamia, recuperato 30 anni fa da un agricoltore americano Bob Quinn.
Venerdì 16 si è celebrata la giornata mondiale del pane e giornata mondiale dell’alimentazione dalla Fao.
Colore del pane: identità sociale: pane bianco prestigio e lusso.
Umberto di Romans nel XIII secolo racconta che un contadino che stava per essere ammesso alla vita monastica, così abbia detto al colloquio con l’abate: cosa ti aspetti dalla vita monastica? Pane bianco, e spesso!
Poi le cose si sono ribaltate.

Modi dire: Buono come il pane, Un boccone tira l’altro.

Il pane devrebbe essere creatura  e non manufatto industriale.
Zuppe, panzanelle, bruschette, minestre di pane, ribollita…
Si impasta e si lavora, viene sempre uguale?
Il pane non è di chi lo fa, ma di chi ha fame e di chi lo mangia
Mi piace, non mi piace: appaesamento, riconoscimento.

Come si mangia nel Medioevo

[A tavola: modi dei commensali e dei servitori] “[…] noi veggiamo talora a guisa di porci col grifo nella broda tutti abbandonati non levar mai alto il viso e mai non rimuover gli occhi, e molto meno le mani, dalle vivande…
E con ambedue le gote gonfiate, come se essi sonassero la tromba o soffiassero nel fuoco, non mangiare, ma trangugiare: i quali, imbrattandosi le mani poco meno che fino al gomito, conciano in guisa le tovagliuole che le pezze degli agiamenti sono più nette? Con le quai tovagliuole anco molto spesso non si vergognano di rasciugare il sudore che, per lo affrettarsi e per lo soverchio mangiare, gocciola e cade loro dalla fronte e dal viso e d’intorno al collo, et anco di nettarsi con esse il naso, quando voglia loro ne viene…
Veramente questi così fatti non meritarebbono di essere ricevuti, […] ma doverebbono essere scacciati per tutto là dove costumati uomeni fossero.
Dee adunque l’uomo costumato guardarsi di non ugnersi le dita sì che la tovagliuola ne rimanga imbrattata, percioché ella è stomachevole a vedere; et anco il fregarle al pane che egli dee mangiare, non pare polito costume.
I nobili servidori, i quali si essercitano nel servigio della tavola, non si deono per alcuna condizione grattare il capo né altrove dinanzi al loro signore quando e’ mangia, né porsi le mani in alcuna di quelle parti del corpo che si cuoprono, né pure farne sembiante, sì come alcuni trascurati famigliari fanno, tenendosele in seno, o di dirieto nascoste sotto a’ panni; ma le deono tenere in palese e fuori d’ogni sospetto, et averle con ogni diligenza lavate e nette, sanza avervi sù pure un segnuzzo di bruttura in alcuna parte.
E quelli che arrecano i piattelli o porgono la coppa, diligentemente si astenghino in quell’ora da sputare, da tossire e, più, da starnutire… […]
E se talora averai posto a scaldare pera d’intorno al focolare, o arrostito pane in su la brage, tu non vi dèi soffiare entro […], percioché si dice che mai vento non fu sanza acqua; anzi tu lo dèi leggiermente percuotere nel piattello o con altro argomento scuoterne la cenere. Non offerirai il tuo moccichino comeché egli sia di bucato a persona: percioché quegli a cui tu lo proferi no ‘l sa, e potrebbelsi avere a schifo.
Quando si favella con alcuno, non se gli dee l’uomo avicinare sì che se gli aliti nel viso, percioché molti troverai che non amano di sentire il fiato altrui, quantunque cattivo odore non ne venisse” Galateo overo de’ costumi, Trattato di Messer Giovanni della Casa
Le tavole, durante il Medioevo e Rinascimento (ma l’uso di arredi mobili, smontabili e ripiegabili si protrasse almeno fino al XVIII secolo), venivano preparate poche ore prima del pasto. Erano tavole mobili, appoggiate su cavalletti di sostegno, i trespoli, disposte in diversi modi: a ferro di cavallo, a guisa di “T”, a spina di pesce ecc., e venivano ricoperte da tappeti di tessuto più o meno pregiato a seconda del rango dei commensali. Sopra il tappeto venivano poste un certo numero di tovaglie, generalmente bianche per far esaltare meglio il colore dei cibi. Su di esse si trovavano taglieri, ciotole e bicchieri, di norma non individuali, ma che andavano condivisi con il vicino. I coppieri provvedevano a sciacquare i bicchieri e riempirli di nuovo a richiesta. Il servizio era assicurato da una folla di servitori sotto la supervisione di uno scalco, che era inoltre incaricato dell‘approvvigionamento dei viveri, della scelta dei menù e la loro realizzazione da parte dei cuochi.
I coppieri provvedevano al servizio delle bevande, i trincianti al taglio delle carni.
I commensali mangiavano a coppie, un cavaliere ed una dama, poiché per tradizione i due mangiavano dallo stesso piatto e bevevano dalla stessa tazza. Le carni venivano prese con le dita e, prima di mangiare e dopo di ogni portata, veniva offerta acqua odorifera per detergersi le mani. Questa era un’usanza tipicamete italiana. Il rituale conviviale era comune a tutte le corti e si diversificava solo per la sontuosità degli apparati e per la quantità e qualità delle vivande preparate.
Le portate, sontuosamente decorate, venivano portate in sala secondo una regìa impeccabile dello scalco e prima di essere servite al Signore erano sottoposte al rito del credenzino per essere assaggiate. Altra grande protagonista del banchetto era la musica, accompagnava le vivande, i passi di danza ed ogni genere di spettacolo, che serviva per rendere più gradevole il convivio. Nelle pause tra una portata e l’altra i commensali erano intrattenuti da intermezzi animati, danze, recite, canzoni, pantomime, spettacoli circensi, spesso si sceglieva un tema, in genere mitologico oppure tratto dalla letteratura cortese a cui ispirare la successione degli intermezzi e delle portate.

Come si mangia nel Rinascimento

Il Banchetto nel Rinascimento rappresentava il grande momento della festa privata, nel quale la corte del Signore offriva l’immagine di se stessa, ricalcando attraverso il rito conviviale la propria organizzazione sociale. Il Banchetto era per il Signore l’occasione per dimostrare pubblicamente la propria grandezza, attraverso l’ostentata ricchezza delle sue tavole, della credenza, degli abiti, degli spettacoli ed il numero dei suoi servitori. Il ruolo del Signore veniva esaltato dall’etichetta conviviale. La sua tavola era sopraelevata rispetto alle altre e spesso coperta da un baldacchino, simbolo di prestigio. Anche i posti dei commensali venivano assegnati in ordine gerarchico, secondo la vicinanza della persona fisica del Signore.
I banchetti erano opulenti ed interminabili: alcune cronache suddividevano le numerosissime vivande in “portate del sole” e “portate della luna“. L’ordine di ingresso delle vivande non seguiva i canoni soliti dei nostri menù: esse si suddividevano in servizi di credenza e servizi di cocina, in un’alternanza di dolcetti, frutta, formaggi, carni lessate e salse varie, pasticci, selvaggine in crosta, potaggi, arrosti, insalate, pesci accarpionati e fritti, torte di erbe, formaggi, ecc. Le paste, come tagliatelle, ravioli e lasagne, c’erano, ma il più delle volte venivano utilizzate per accompagnare gli arrosti. Trionfi di carni, di selvaggina, di pesce, di affettati e grande abbondanza di salse e di sapori: salse verdi, dolceforte, peposa, agresto, di pinoli, di tartufo.
Narra il Vasari – fu fondata la “Compagnia del Paiolo” cui aderirono dodici artisti (fra i quali Andrea del Sarto) il cui scopo era quello di imbandire la tavola con piatti, tanto particolari da far stupire i commensali. Non mancarono poeti (Benedetto Varchi, il Firenzuola e il Lasca) che dedicarono lodi in rima alle frittate, alle salsicce, ai poponi, alle zuppe e ad altre vivande.

Eppure

Piccola parte della speranza
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare,
a fiorire,
a sperare.
Ti metteremo
come una torta
Nella nostra vita
ti infiammeremo
come un candelabro
ti berremo come un liquido topazio
…pane mai visto
torre permanente.