9788897142133

Questo libro, appena lo vedi, attrae l’attenzione: si sbircia con curiosità, si sfoglia e si risfoglia, poi una immagine ti cattura, un’altra ti affascina e ti avvolge, soprattutto chi ha voglia di lasciarsi sedurre e trasportare “come un sughero sull’onda” per dirla con Roland Barthes. Guardi e leggi: piccole frasi altamente evocative, mentre la letteratura appare con frasi di grandi, la vita appare con frasi della realtà. Insomma questo è un libro per pensare, ma anche per lasciarsi affascinare, come tutto ciò che è arte e letteratura.

Perché arte è chimera che blandisce e rapisce, incanta e affascina… ma la coda del drago non promette niente di buono e a volte vomita fiamme. Curiosità e dubbio, timore e speranza si amalgamano nelle immagini e nelle parole e soprattutto nei silenzi. Scorrono quadri  che catturano lampi di mistero nella maternità, quel miracolo tanto naturale, quanto misterioso. Ci portano lontano dalle immagini tradizionali della maternità e dai suoi stereotipi. Madre è forza generatrice, che dà origine, come l’antica madre terra, come la prima madre Eva e la Madre Santa Maria, come la lingua madre o l’idea madre…

Maternità: temi e problemi antichi

Storie narrate e storie taciute, storie gridate e storie sussurrate hanno costruito un ammasso di stereotipi, da cui spuntano lame e artigli, fiocchi rosa e celesti, melensaggini, ma anche buchi neri come bocche spalancate.

“Il mio primo trafugamento di madre
Avvenne in una notte d’estate
Quando un pazzo mi prese
E mi adagiò sopra l’erba
E mi fece concepire un figlio.
O mai la luna gridò così tanto
Contro le stelle offese,
e mai gridarono tanto i miei visceri,
né il Signore volse mai lo sguardo all’indietro
come in quell’istante preciso
vedendo la mia verginità di madre
offesa dentro a un ludibrio.
Il mio primo trafugamento di donna
Avvenne in un angolo oscuro
Sotto il calore impetuoso del sesso,
ma nacque una bimba gentile
con un sorriso dolcissimo
e tutto fu perdonato.
Ma io non perdonerò mai
E quel bimbo mi fu tolto dal grembo
E affidato a mani più “sante”,
ma fui io a essere altraggiata,
io che salii sopra i cieli
per aver concepito una genesi.”

(Alda Merini)

La cultura della maternità è spesso collocata in un universo di ideali borghesi colmo di stereotipi, dove madre è identità subordinata, considerata in rapporto ai figli stessi, non con uno statuto identitario autonomo. Nel libro invece viene evitata la mistica matriarcale di “son tutte belle le mamme del mondo“. O quella della Patria, madre per eccellenza: “servire la patria come la mamma più grande, la mamma di tutti i buoni italiani”. Il dopoguerra ha operato un cambiamento di modelli, con la cultura del consumo arriva la festa della mamma. Con un ordinato riconoscimento di ruoli, tutto deve essere iscritto nell’ordine delle cose.

Oggi la maternità ha mille facce, può esprimersi in relazioni di autorità e di potere, e anche di ricatto, anzi del più subdolo dei ricatti, quello della riconoscenza e dell’affetto, ma la maternità può anche diventare oltraggio, trafugamento e vergogna, mentre il figlio, “sputo tangibile del peccato” è il bastardo infamato dalla colpa di non avere un padre, di essere “nulla più di un peccato” come scrive Anne Sexton. Accanto alle madri che cullano, melense o sincere che siano, nel tempo rimasto dal catapultarsi da un lavoro all’altro, trovano posto le madri tradite e violate, le madri che tradiscono senza pregiudizi, le madri che scelgono negazione e rinuncia, le madri che abbandonano: “Ninna oh, ninna oh, questo bimbo a chi lo do?“.

“Ninna-oh ninna-oh
Questo bimbo a chi lo do?
Lo daremo alla sua mamma
Che gli canti la ninna-nanna.
Ninna-oh ninna-oh
Non lo vuole la sua mamma?
Cercheremo un’altra mamma
Che gli canti la ninna-nanna.
Ninna-oh ninna-oh
Questa sì e questa no
Anzi quella sì e questa no
Anzi forse ma però
Questo bimbo a chi lo do?”

(Vivian Lamarque)

Madri-farfalle, distratte e sognanti, madri-api, operose e infaticabili, madri gamberi, dubbiose e titubanti che scelgono di non essere madri, madri -mantidi che vogliono vivere e godere nella pienezza dei sensi al di là di ogni pretestuoso misticismo, madri rondini indipendenti e sempre innamorate, madri che non avevano bisogno di essere madri, madri assassine, che come Medea uccidono i propri figli. Infatti la maternità è un soggetto errante, un altrove difficilmente definibile, un incrocio fra storia e storie, uno spazio dove galleggiano fatti e sogni, come l’essere donna nella lunare aurea della poesia: sempre molto singolare e tanto plurale. E quindi anche tanta tenerezza:

“Se avevi paura mi davi la mano – io
La prendevo e svaniva paura la mia – se
Non volevi star solo mi venivi vicino – io
Sentivo allargarsi il contatto col mondo – mi
Accorgevo di poter essere forte – se tu
Contavi sulla mia protezione – e poi
Ci sono le notti che ci hai regalato
Le notti incantate da te che credevi
In qualcuno venuto dal cielo nel buio
La tua attesa bastava
A farli passare e a lasciarcene il segno
Stavamo nel patto spontaneo e segreto
Di essere bambini rispettati dai grandi
Di essere grandi salvati da un gioco”

(Giusy Quarenghi)

Grande tema di psicanalisi, la meternità, ma anche della letteratura, a partire dalla tragedia greca (cit. Silvia Panichi nella postfazione). E Il Padre? Accennato, intuito evocato. Padri guitti e imbonitori, che amano e scappano; padri schiacciati dalla colpa di sentirsi in colpa; padri compunti e seriosi, che si fanno esempio e guida del buon senso; padri candidati a mai diventarlo, padri di figli di sole madri; padri narcisi di figli perfetti, destinati ed essere delusi. Figli di padri mai nati padri. Padri che diventano figli, figli che diventano padri. Grande avventura del corpo e della mente. Ad venturam: viaggio dal quale non si torna indietro; tante paure e  insicurezze, ma anche luce mistero immenso travolgente e strano. Troviamo sentimenti molto diversi:

Gioia e orgoglio:
“Le mie viscere sono ora più calde e succose
Ho l’alto privilegio d’annidare un altro essere
Sento che mi attraversano correnti misteriose
E nelle vene, e nelle arterie scorrono rumorose
Le acque della vita per nutrire il suo benessere
…il candore delle mie guance si copre di rossori
Nel guardare il mio corpo che fiorisce d’amore”

(Gladys Basagoitia)

Dolcezza:
“E’ uscita dalla pancia mentre io dormivo. Ci unisce la pace,
l’assenza di urla, il mio pudore.
Siamo una tela di Giovanni Bellini: una vergine e un coniglio gentile”

(Antonella Anedda)

Delusione:
“Di quelle che ne vorrebbero
Uno anche loro
Ma mai potranno
O che hanno paura di quel che sarà
E l’attesa a un tempo rimandano
Che forse è già finito…
E seguendole come bambine le sento
A cui regaleresti la luna in cambio
Di un sorriso bagnato
Dalle loro lacrime mute”

(Vittoria Bartolini)

Comunione con la natura:
“Il mio corpo,
come terra riconoscente
si sta dilatando.
La pianura del mio ventre
Sta già prendendo la forma
Di una tonda collina palpitante,
mentre dentro di me, in chissà qual mistero,
d’acqua, di sangue, di silenzio
sta crescendo come un pugno che si apre
il figlio che hai seminato
nel centro della mia fertilità.”

(Gioconda Belli)

Ma può assumere anche toni cupi:
“Potrei sembrarti ferma
Con il capezzolo in bocca
A mio figlio,
io lupa di guerra
zitta, gravida, ancestrale.
Canto il poema latteo sceso in me
Con me
Da me a mio figlio
Come un fiume caldo diurno potente, giù
Dalla cima
Del monte. Dalla cima del monte.”

(Anna Maria Farabbi)

Timore di non farcela:
“Mia figlia mi disse ieri sera,
“Non sei stata poi tanto brava
A farmi crescere”. Dissi che lo sapevo,
ma che era dura, più dura di quanto
sembrasse e comunque ci provavo…”

(Mary Anne Mohanraj)

Sguardo che ricerca complicità (opera aperta), la parola noi per la prima volta:
“Il fatto che tu sia io ed io sia tu – che tu
Non sia più tu ed io non-io”

(Mariella Bettarini)

Libro necessario alle lettrici che vogliono crescere e rispecchiarsi nella propria individualità femminile, libro ancor più necessario per quei lettori desiderosi di comprenderlo.

“Come turba il cuore
L’inarrestabile peregrinare
Dell’io all’altro, condannati
Sempre all’impermanenza,
piccola pianta carnivora
vocata a nutrirti di me
anima e sangue,
lasciandomi ogni giorno
inerme guscio al transito
dei venti.”

(Ruth Cardenas)

Sensazione di potenza:
“Gli anni che mi attraversano non danno tregua.
In quel bacio c’è il grazie per l’essere stato figlio
Come pochi, persona, roccaforte e silenzi,
guardiano delle pause che in me riversi e che nascondo,
a difendere il mito di madre uccello,
incantatrice d’aria,
coefora del vento.”

(Maria Pia Moschini)

È un libro che ci interroga e che fa pensare. È un libro che parla e sollecita, è un libro che si fa mirare e ammirare, ma anche miroir, specchio in cui ciascuna può specchiarsi, che scava nelle realtà più segrete del sentimento, è un libro di corpo e di anima, è un libro che ci fa patire, nel senso latino del patior, della passione più profonda. Comunque lasciamoci affascinare da tutto ciò che è e si fa arte e poesia di vita.