tono

Tono

“Questa è per te, tanto è una bambina!” mi disse porgendomi una bambolina dalla chioma d’oro troppo lunga e troppo falsa, vestita di una improbabile nudità.

Quei piccoli occhi azzurri di plastica mi fissarono per parecchi mesi dall’alto dello scaffale, facendo capolino tra i libri, mentre io ostinatamente covavo l’amore che cresceva dentro di me e fu come se fosse stato sempre presente.

Tono entrava in camera mia alle nove del mattino preceduto dai suoi ossequianti “Parona!” rivolti a colei che giustamente considerava la vera regina della casa. Lo seguiva il picchiettare ritmico del bastone sempre nuovo e sorprendente con cui spesso mi improvvisava divertenti scenette, e la camera si avvolgeva subito nell’odore di vino che quasi sempre lo accompagnava.

Si piazzava in fondo al mio letto e insieme a Giorgio, fido autista e accompagnatore, a qualche poeta, pittore, critico d’arte, moglie di celebre poeta, mosaicista di passaggio ecc. ecc., organizzava le ore delle mie giornate da superbo regista, facendomi compagnia affettuosamente, ma senza darlo troppo a vedere.

L’incidente era successo proprio mentre stavo preparando la sua mostra antologica nel Palazzo Pretorio di Certaldo e forse (chissà) si sentiva un po’ responsabile della mia forzata degenza; ma era un pretesto, la colpa era di quel mio strano essere, tanto forte e pur sempre così debole, tanto desideroso ma ancora impreparato alla maternità.

Tono era uno di casa, talvolta atteso più volte inaspettato. Una breve telefonata di Giorgio preavvertiva di poco del suo arrivo e tutte volte serbava qualche sorpresa. Un nuovo amico, un nuovo disegno o paterni rimbrotti per qualche misfatto: dall’insalata tagliata troppo fine, al tavolo di vetro troppo freddo, a piccoli ritardi non ben motivati, a qualche valutazione politica azzardata… e via dicendo.

Mentre lanciava taglienti giudizi contro chi capitava sotto tiro e le bottiglie scendevano inesorabilmente, ogni tanto ci abbracciava con sguardi sinceri, che sembravano voler leggerci dentro.

La sua voce giungeva quasi inaspettata, troppo esile e dolce, quasi non fosse la sua, non proporzionata a una personalità così imponente.

“Ora facciamo la gara, ma tanto il mio è più bello…”

“No, è più bello il mio, è più bello il mio!!” brontolava Silvia impegnata con lui in una continua disputa di segni e disegni. Sventolava i foglietti spiegazzati pieni dei suoi infantili tentativi di ritrarre il mondo, mettendoli a confronto con i suoi, sempre mirabili, ma quasi ossessivi graffiti e ghirigori.

Ora la poltrona, nicchia da cui amavi farti abbracciare e dove sonnecchiavi dopo i pranzi consumati in avida amicizia, sembra ancora aspettare il tuo fisico prorompente, caro Tono, la tua barba da patriarca, gli occhi pungenti e indagatori, le aspirine disciolte nel rosso del vino, il tuo fluire padovano, il tuo amore per l’amore.

I tuoi arabeschi ci accarezzano ancora dalle pareti di casa, ma il vuoto che ci hai lasciato è grande. Grande quanto la tua arte.