mater

Il libro Mater è una raccolta di poesie a cura di M. Cristina Landi, con opere visive di Giovanna Ugolini (Morgana, Firenze 2005).
L’esposizione delle opere e le presentazioni del libro sono state numerose, fra le quali si ricorda quella all’Istituto degli Innocenti, il 7 marzo 2005 e quella al Caffè Storico Letterario “Le Giubbe Rosse”, il 18 novembre 2005.

Introduzione al libro 

Madre: “donna che ha generato dei figli, considerata in rapporto ai figli stessi”, così recita il vocabolario e subito viene in mente Eva, madre di tutti i viventi, la Madonna, madre di Dio, e poi la madre natura, la madre patria, l’antica madre terra, la casa madre, la madre badessa, l’acqua madre, la scena madre… sempre origine e principio, matrice da cui discende qualcosa, elemento principale, che comunque si connota come un termine importante e positivo.
Se il sostantivo è posto però accanto a ragazza, le cose cambiano: ragazza madre diventa quasi un ossimoro sovversivo, con forte accezione negativa.
Insomma, madre: è una parola!
Ed è una parola che ha ispirato tante storie e tante scritture.
Tenerezza di madre, sentimenti di madre… sono tutte espressioni che richiamano soavi funzioni, valori di obbedienza e di dedizione, vincoli amorevoli forti, all’interno di un ordinato riconoscimento di ruoli.
La maternità in molte epoche storiche rappresenta infatti il tradizionale contesto in cui inscrivere l’ordine delle cose, il modello per eccellenza della vita e della cultura familiare, che in certi periodi diventa celebrazione della parsimonia e dell’economia domestica: Se potessi avere / mille lire al mese, / senza esagerare, sarei certo di trovare / tutta la felicità!… Una casettina / in periferia, / una mogliettina / giovane e carina…
La cultura della maternità viene collocata in un universo di ideali borghesi e definita come identità comunque e sempre subordinata, “considerata in rapporto ai figli stessi”, quasi non avesse uno statuto identitario autonomo. Viene sempre accompagnata da un’enfatizzazione dell’unità familiare dell’appartenenza, che provoca deferenza e mistica matriarcale, per cui non si può fare a meno di cantare son tutte belle le mamme del mondo.
La maternità rappresenta così un grande fattore di identificazione all’interno di una dimensione affettiva privata, tanto che sensibilità e dolcezza diventano i tratti più caratterizzanti dell’identità femminile, in quella famiglia borghese che vede in Rosa Maltoni Mussolini, l’emblema della patria, la madre per eccellenza. E “servire la patria come la madre più grande, la mamma di tutti i buoni italiani”, appare la missione più importante da compiere.
Simbolo unificante, la madre italiana è in primo luogo una madre morale.
Di contro sono criminalizzate altre scelte di femminilità, come dimostra la canzone feuilleton per eccellenza del primo Novecento Balocchi e profumi.
La castità è una virtù fondamentale per mogli e madri-madonne, come la capacità di rispondere con clemenza e perdono alle trasgressioni dei mariti con le maddalene.
È quindi una maternità che deve comunque rinunciare all’eros e a qualsiasi potere di seduzione.
Secondo le prescrizioni cattoliche l’atto del coniugo è per natura diretto solo e soltanto alla procreazione e la donna che non si colloca in questa logica e vuol carnalmente godere è considerata deviante, malafemmina e puttana. E “la malafemmina è come il vischio, non la tocca uccello che non ci lasci le penne”, ammonisce un diffuso detto popolare.
La moda del cinematografo e delle canzonette crea nel dopoguerra sogni di indipendenza e di civetteria, ma la madre moderna italiana, stile americano, sembra accontentarsi del frigo e della lavatrice. Gli inserimenti lavorativi infatti, non comportano un’immediata modificazione di ruoli e di identità, ma un’aggiunta di compiti: la moglie e madre esemplare della società di massa lavora, ma ugualmente accudisce e cura con il medesimo convenzionalismo il mito della rispettabilità esteriore.
Però mentre qualcuna sussurra non ho l’età / non ho l’età per amarti / non ho l’età / per uscire sola con te… c’è anche chi canta nessuno mi può giudicare / nemmeno tu… e qualcun altro, preconizzando il Sessantotto, gorgheggia cammina per le strade deserte, / cammina con la pace nell’anima. / E’ libera. Nessuno può fermarla…
Ma, mentre c’è chi cerca un uomo tutto d’oro e a qualche altra viene la pazza idea / di far l’amore con lui / pensando di stare ancora insieme a te, nella sostanza prevale fin che la barca va, lasciala andare.
Con il cambiamento dei modelli di consumo, dopo l’esplosione del Sessantotto e la ventata del femminismo, la maternità nell’immaginario collettivo, tranne eccezioni culturalmente connotate, diventa infatti merce al dettaglio, “Festa della mamma”, inno al benessere e alla produttività.
Non sono una signora / una con tutte stelle nella vita / non sono una signora / ma una per cui la guerra non è mai finita… grida però Loredana Berté, a cui fa eco Gianna Nannini con un brano trasgressivo in cui è gridato il tema del sesso, del godimento e della masturbazione: fammi sognare e si morde la bocca e si sente l’America / fammi volare lui allunga la mano e si tocca l’America…
Donna finalmente libera di amare, godere, procreare o no, quanto e quando le piace?
Maternità libera e consapevole?
Molte parole, ma pochi i fatti.
La maternità, oggi come sempre, ha mille facce, può esprimersi in relazioni di autorità e di potere, e anche di ricatto, anzi del più subdolo dei ricatti, quello della riconoscenza e dell’affetto come dovere. Maternità può diventare oltraggio, trafugamento e vergogna, mentre il figlio, sputo tangibile del peccato, è il “bastardo”, infamato dalla colpa del non avere un padre, di essere “nulla più di un peccato” (A. Sexton).
Accanto alle madri che cullano, melense o sincere che siano, nel poco tempo rimasto dal catapultarsi da un lavoro all’altro, trovano posto le madri tradite e violate, le madri che tradiscono e amano senza pregiudizi, le madri che scelgono negazione e rinuncia, le madri che abbandonano Ninna oh, ninna oh / questo bimbo a chi lo do!, le madri che trovano nei figli una nuova ragione per la lotta (S. L. Carrillo) o una nuova ragione per la disperazione, perché con un altro figlio al mondo è più difficile vivere ed è già tanto difficile.
Madri-farfalle, distratte e sognanti, madri-api, operose e infaticabili, madri-gamberi, dubbiose e titubanti che scelgono di non essere madri, madri-mantidi che vogliono vivere e godere nella pienezza dei sensi al di là di ogni pretestuoso misticismo, madri-rondini indipendenti e sempre nuovamente innamorate, madri che non hanno bisogno di essere madri, madri assassine che, come Medea, uccidono i propri figli.
E allora la maternità è un soggetto errante, un altrove difficilmente definibile, un incrocio fra Storia e storie, uno spazio dove galleggiano fatti e sogni, come l’essere donna nella lunare aurea della poesia: sempre molto singolare e tanto plurale.
Mater inaugura così la collana Gocce di Griseldascrittura: libri per pensare, per dibattere, per lasciarsi affascinare da tutto ciò che è e che si fa poesia.

Maternità di donna senza figli
Attraversa intrepida la storia in un
Tempo colmo di prolifiche fate
E di streghe “imperdonate”
Respirando, voluttuosa, silenzi e parole di carta.

Autori

Alvi Moniza
Anedda Antonella
Arguello Maria
Bartolucci Vittoria
Basagoitia Gladys
Belli Gioconda
Bettarini Mariella
Cardenas Ruth
Carillo Sonia Luz
Del Serra Maura
Desbordes-Valmore M.
Farabbi Anna Maria
Galzio Gabriella
Goel Edith
Giudacci Margherita
Lamarque Vivian
Liscio Maria
Lo Russo Rosaria
Luz Alma
Maraini Dacia
Marasco Wanda
Melauri sara
Meneses Vidaluz
Merini Alda
Mohanraj Mary Anne
Moschini M. Pia
Oliverira De Vera Lucia
Claz Sylvia
Pozzi Antonia
Quarenghi Giusi
Quintavalle Lia
Rich Adrienne
Riondino Chiara
Sauvage Cecile
Sexton Anne
Smitran Stevka
Spaziani M. Luisa
Ugolini Liliana
Yanez Carmen
Yourcenar Marguerite
Zamora Daisy