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Un romanzo d’esordio: filoneismo del filo per “Un filo per matita” di Gloria Campriani

“Un artista nasce quando decide di esserlo” dice Albert Camus.
E Gloria Campriani ha deciso di esserlo. E di esserlo scavalcando quella sottile linea d’ombra che separa l’arte dall’artigianato artistico. Così questo è il suo romanzo d’esordio, ne ha tutta la freschezza e la forza dell’intuito che spinge alla ricerca, all’approfondimento, all’ardire dell’innovazione, allo studium dell’arte.
La sua opera si presenta come una successione di matrici bidimensionali che non si sovrappongono, ma diventano combinazioni di colonne verticali e orizzontali generando il miracolo della simultaneità.
Provoca lo sguardo con una forma, un’idea globale tipica del mondo gestaltico delle arti, in cui è il tutto a determinare le parti. Il vago non è casuale, ma nasce dal lasciare semanticamente indecisi i particolari. L’accento non batte sulla struttura e sulla geometria delle forme, ma nella ricerca di un calibrato dosaggio di sinuosità di cuori e di ogive
Traccia la sua strada nella nebbia del contemporaneo e parte dalla materia per andare oltre: da un dove materico, verso un altrove tendente all’infinito: oltre la forma, oltre il colore, oltre la realtà.
È il cuore che parla e ogni battito è un filo sillabico che rinuncia alla fonazione e si fa pulsazione, eco di anima e corpo, per scaturire con quell’intensità metaforica propria dei sogni ai primi bagliori dell’alba.
Affiora un vissuto emozionale forte, dall’aria garbata di una cultura che aspira a crescere, nutrita da una curiosità esteriore pronta a far lievitare un’interiorità già avvezza all’intimità.
Sono realtà carpite e ridotte a grumi di meditazione, piccoli e grandi intrecci bislunghi accarezzati da una luce clamante che non svela, ma erode, avvinta com’è alla nudità dei colori o alla spoglia eleganza del bianco.
Sono fili raccolti, alimentati con il lievito di un’interiorità sillabica, lavorati e plasmati in spazi di raccoglimento. Filo conduttore di storie da narrare, bandolo per dipanare il mondo, gugliata per rassettarlo, batuffolo per curarlo. Intreccio che si fa intrigo, viluppo che avviluppa e affascina. Filoneismo del filo.
Appaiono così forme fiabiche, turgide e ardite, alternanza di pieno e di vuoto, di voci e di silenzi, fantasmi di realtà rappresa, capaci di aprire i sensi verso spazi incompiuti, di evocare voci del mito – la Sfinge e le Sirene, Morgana e Melusina – conservando ed espandendo il succo del femminile.
Si riverbera un mormorio interiore, si coglie una voce spirituale che nessun suono accompagna nella ricerca di una nuova armonia di silenzi.
L’opera è tutta una sfida alla materia e alla sua finitezza, verso la meta di un immaginario vascello fantasma che, senza più mare e stanco di una libertà illimitata, ricerca un approdo nel grembo accogliente dell’arte.
Il segno del filo si fa traccia delle passioni quae sunt in anima, capace di trasmettere energia e pathos. E’ un poter dire del linguaggio artistico, che tende trappole alla forma e al colore.
Così ci vien voglia non solo di guardare, ma anche di toccare, spinti dal latente erotismo dello sguardo.
Lo stile si fa lineare e seducente, sobrio e plastico, innamorato della materia che plasma, ma reattivo ai materiali e alle lusinghe del colore. Microcosmo labirintico, fuori dal tempo e dallo spazio. Voce spirituale che nessun suono accompagna, ma produce note iscritte nella musica dell’aria, in attesa di trovare la sua symphonia nella compiutezza di una partitura.

Sandra Landi per Gloria Campriani