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Ho incontrato Pietro Clemente a Siena in Piazza della Posta in un tardo pomeriggio.

La sera incipiente rendeva più scura la sua esile figura, facendo risaltare la sua barba da rivoluzionario, ancor più scura, che allora andava molto di moda.

Mi aveva suggerito il suo nome Zeffiro Ciuffoletti, sotto la cui guida avevo intrapreso un percorso di ricerca sulla cultura materiale e le tradizioni orali della Val d’Elsa.

L’antropologia mi aveva subito affascinato, d’altra parte provenivo da studi di geografia sociale condotti con Giuseppe Barbieri, e il passo fu breve.

Pietro era giunto da poco a Siena, accompagnato da un alone di universitario politicamente impegnato. Perfetto per una rivoluzionaria combattente su tutti i possibili fronti quale allora mi sentivo. Ero sul fronte di una scuola che si autodefiniva democratica, iscritta al gruppo degli insegnanti democratici e dei genitori democratici (sigh!), militavo nel P.C.I e tentavo di amministrare la cultura a Certaldo (doppio sigh!!), convinta di poter cambiare il mondo…

Tardiva figlia dei fiori che ancora credeva nel viatato vietare, diamo l’assalto al cielo, l’immaginazione al potere…

Clemente aveva studiato Architettura a Milano, poi era tornato a Cagliari dove si era laureato in Filosofia con una tesi in Antropologia Culturale, avendo come relatore Alberto Mario Cirese, suo maestro e guida per tutta la carriera accademica.

A Siena insegnava nella Facoltà di Lettere, prima Letteratura delle Tradizioni Popolari e poi Storia delle Tradizioni Popolari.

Come storico delle tradizioni popolari stava attraversando la Toscana stabilendo contatti con il territorio in un forte sodalizio con Gastone Venturelli e altri intellettuali.

Ci siamo incontrati nel ‘77 e del ‘79 è Tradizione orale e mezzadria nella Val d’Elsa inferiore, a cura di Zeffiro Ciuffoletti, edito da Vallecchi, per il quale scrisse I castelli e le officine delle parole, nota introduttiva a un lavoro condotto da me e da Pier Paolo Benucci nella Scuola Media di Certaldo.

Mentre Pietro Clemente ricopriva incarichi in comitati scientifici di molti enti locali, lavorava sul teatro popolare e la museografia della cultura mezzadrile. E questo per me è stato un tema affascinante: riconoscere e dare parola ai mezzadri, ai boscaioli, ai migranti portatori di una vivissima cultura toscana, resa ormai silenziosa dai processi di modernizzazione e da una sorta di autocondanna all’oblio. Si trattava di gente della mia terra e ho sentito una sorta di imperativo categorico: dovevo dedicarmi allo studio della loro cultura.

Alla fine degli anni ‘80 con un gruppo di lavoro senese, fondò la rivista Ossimori, con la quale ho volentieri collaborato, per altro era caratterizzata da un aspetto in cui ho sempre creduto: la necessità della comunicazione e della collaborazione fra discipline affini.

Del 1989 è il libro La guerra narrata, edito da Marsilio, il mio primo lavoro importantecon la sua introduzione.

Agli inizi degli anni Novanta, Pietro venne chiamato a Roma, all’Università La Sapienza, ma iniziamo anche a lavorare insieme al Museo etnografico del bosco e della mezzadria ad Orgia, con un’equipe di intellettuali senesi, che ha poi prodotto l’apparato didattico del museo, il catalogo e i miei il Quaderno di Quintilio eil Quaderno dell’insegnante.

La carriera di Pietro Clemente è stata caratterizzata da un costante impegno accademico e da importanti esperienze nella Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, nella sezione di Antropologia Museale dell’Associazione Italiana di studi Etno Antropologici, in “Antropologia Museale”, nell’Archivio Nazionale Diaristico di Pieve Santo Stefano, nel ‘museo spontaneo’ di Ettore Guatelli…

Il suo “compasso dell’orizzonte” si è via via allargato dalla cultura locale alla cultura della globalizzazione, per riflettere sui temi dell’immigrazione, l’antropologia urbana e l’interculturalità.

Tornato nella Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze, adesso si definisce così: “il mio profilo è oggi di ‘antropologo dell’Italia’(formatosi soprattutto sulla Toscana) che è, come dire, di un ‘folklorista’ che ha allargato le sue attenzioni alla modernità e ai contesti ed arricchito la sua esperienza metodologica con dibattiti e resoconti dell’antropologia extraeuropea e del mondo globale.”