All’ingresso dell’Africa vera

25 Luglio

Avevo coltivato l’idea di attraversare, quest’anno, un altro tratto della storica “Via della Seta”. Avevo immaginato di rispondere finalmente ad una sollecitazione che i miei amici Amir e Shalan (che con il figlio Askan vivono a Teheran) mi rivolgono da anni. Saremmo ripartiti, dopo aver fatto loro visita per alcuni giorni, attraverso la Georgia, l’Armenia, quindi la Turchia per approdare alla mitica, sempre più mitica, Istambul. Sandra reclamava, invece, un po’ di mare e se possibile anche una pausa di meritato relax. Si seppe che anche a Cristina e a Pietro non sarebbe dispiaciuta l’Africa, magari mixando mare e parchi. Da qui la soluzione del Kenia e della Tanzania. Antonia, appresa la notizia di questo nostro nuovo tour, decide anche lei di avventurarsi.
Siamo già ai primi di giugno quando incontro le amiche dell’Agenzia e Ombretta, come sempre, si adopera al meglio, anche se registra fin da subito qualche difficoltà nel reperire posti a prezzi che noi “pretendiamo” sempre a buon mercato. La conclusione sarà che risulta più conveniente un volo charter su Mombasa (Kenia), comprendente anche la permanenza all’interno di uno splendido villaggio tutto compreso, rispetto ad un volo di linea Roma – Nairobi. Si accetta così il pacchetto, con l’intesa, ovviamente, di trattenerci una seconda settimana per poter visitare, in piena libertà, i parchi della Tanzania.
In piena libertà, proprio perché ci ritroviamo nell’immaginazione di Pico Iyer, quando dice che:”

Viaggiamo inizialmente per perderci.
E viaggiamo, poi, per ritrovarci.
Viaggiamo per aprirci il cuore
e gli occhi, e per imparare
più cose sul mondo di quante
possano accogliere i nostri giornali.
E viaggiamo per portare
quel poco di cui siamo capaci,
nella nostra ignoranza e sapienza,
in varie parti del globo,
le cui ricchezze sono disperse.
E viaggiamo, in sostanza,
per tornare a essere giovani
e sciocchi, per rallentare il tempo
ed essere catturati e per
innamorarci ancora una volta”.

Il volo da Roma è previsto per la notte fra il 25 e 26 luglio; si prenota, dunque, il treno da Firenze che per fortuna anche Cristina e Pietro riescono a prendere, dopo la prima disavventura dell’autobus che quel pomeriggio non passa da Chiesanuova, disavventura che Giovanna, l’abile sorella di Cristina, anch’essa grande patita ed esperta di viaggi, rimedia precipitandosi in un batter d’occhio. Sandra ed io salutiamo la nostra Silvia in stazione, mentre Antonia è già a Roma per motivi di lavoro e ci attende, paziente, in aeroporto, dove arriviamo ben oltre le previsioni per il fatto che il treno Eurostar passa, ma arriva a Roma con quasi due ore di ritardo. Per fortuna riusciamo a farci accompagnare subito con un taxi che il servizio passeggeri ci mette immediatamente a disposizione.
Antonia, gentilmente, ha già sbrigato, in aeroporto, alcuni adempimenti presso il nostro tour-operator (I Viaggi di Atlantide) e dunque, all’arrivo, non ci resta che metterci in fila per le classiche operazioni propedeutiche l’imbarco. Tutto fila per il verso giusto e alle 2.00 del 26 luglio si decolla, puntualmente, per Mombasa, dove si atterra, altrettanto puntualmente, alle 12.00, ora locale, quando in Italia sono le 11.00.

26 Luglio

Le operazioni di sbarco si svolgono speditamente e subito si parte per Watamu, una delle località più “inn” della costa keniota. Si parte con un pulmino messoci a disposizione dall’Agenzia, insieme ad un brillante animatore che durante il viaggio (circa 2 ore e mezza per i 130 km. di distanza) ci allieta con informazioni, proposte safari, escursioni e quanto più possibile si possa immaginare. Nel primo pomeriggio siamo al “Villaggio Acquarius”, dove ci attende Federica (il nostro punto di riferimento dell’Agenzia) e dove ci offrono subito un meritato aperitivo, prima del pranzo-buffet e quindi della consegna delle camere. Si ha subito la percezione di esserci concessi un ambiente allettante, rilassante, attrezzato e funzionante sotto i più diversi aspetti. La reception accentra i servizi principali, ma da lì il villaggio si estende fino al mare, con tre piscine e servizi di ogni genere. Insomma, siamo capitati bene, anche se accerchiati esclusivamente da italiani, sia che si tratti di turisti, sia che si tratti di personale dirigenziale. L’eccezione è data quasi esclusivamente dal personale di servizio esecutivo, nonché da qualche abile intrattenitore-animatore e fra questi Pippo che, pur essendo alto appena un metro e mezzo, eccelle su tutti gli altri.
La curiosità per la costa (divisa in tre baie con in fronte alcuni isolotti) e per la spiaggia domina tutte le altre; ci si precipita subito, quasi di corsa. Una spiaggia bianchissima, accecante, in forte contrasto con il turchino dell’oceano, una spiaggia enorme, animata soprattutto da gruppi di “beach boys” che hanno il compito di non staccarsi un attimo, insistendo su proposte e consigli e soprattutto alla ricerca di turisti poco avveduti e troppo ricettivi. Si trascorre il pomeriggio a curiosare, ad esplorare la spiaggia, a cercare di capire meglio perché è piena di italiani. Anche il “povero” giovane Agnelli Edoardo (ricordate?) era qui di casa, proprio perché a Watamu babbo Gianni gli aveva acquistato una villa, dove era solito trascorrere lunghi periodi, alla ricerca, forse, di qualche sprazzo di tranquilla serenità.
All’ora di cena si rientra e si fanno altre conoscenze: Diego che da 12 anni è spesso qui con compiti di accoglienza e promozione, due fiorentini anzianotti (uno di Peretola e l’altro titolare di un famoso negozio di tappeti a Firenze); il primo ha casa qui e vi torna almeno 4 volte all’anno. Le case fino a 5-6 anni fa costavano un’inerzia e tanti ne hanno “approfittato”, soprattutto italiani, tant’è che la lingua più parlata è la nostra.
La cena è servita a buffet, è sostanzialmente cucina italiana e tutto sommato accettabilissima. Dopo cena ci si sposta nella parte del villaggio sul mare, dove ogni sera si svolgono programmi di intrattenimento. Stasera è la volta dei canti “Gospel”, intervallati da balli, aperti naturalmente anche al pubblico… ed è così che non manco di farmi coinvolgere.
Tardi, ma non oltre le 23.00, tutto finisce (questa è la tipica vita del villaggio) e prima di occupare il comodo letto del residence, telefono a casa, da dove mamma Norma mi informa che tutto fila per il verso giusto, notizie piacevolissime che accompagnano profondamente il sonno della notte.

27 Luglio

L’amico Diego ci ha preavvertito che di norma, in una settimana, si acquistano almeno un paio di chili, tanto è intensa l’offerta culinaria, che include anche un quarto appuntamento a merenda. E’ per questo che stamani, intanto, salto la colazione e così, più leggero, mi avvio insieme agli altri per una escursione a piedi all’interno del mare, approfittando della bassa marea mattutina che questo nostro Oceano Indiano ci concede per farci apprezzare i propri fondali, straricchi di svariate qualità di pesci, conchiglie e stelle marine. Si raggiungono le spiagge che costeggiano alcuni piccoli atolli di fronte alla nostra spiaggia e lì, rilassati, ci godiamo questa sorta di paradiso, fra il terrestre e il marino.
Più tardi è la volta del pranzo (antipasti vari, verdure, pasta, pesce e carne, contorni e dolci di vario tipo), poi si torna in piscina, dove Cristina, Sandra e Pietro partecipano ad una prova di ginnastica in acqua, condotta dal nostro instancabile Pippo. Si fanno altre conoscenze e fra queste quella di un certo… (mi sono dimenticato il nome), che vive fra Kenia e Tanzania da ben 1.270 settimane. E’ informatissimo su tutto e così ne approfittiamo per chiedergli se davvero (come qualcuno andava insistendo) per entrare in Tanzania avrebbero potuto chiederci la certificazione per la Febbre Gialla, per la quale soltanto Antonia si è preoccupata. L’amico sorride, ci informa che non serve più da alcuni anni, ma potrebbero comunque chiederci dollari, così come ci chiedono soldi per tutto, sempre e comunque, anche soltanto per il fatto, ci dice, che magari non siamo accompagnati dalla moglie.
Sollevati, si impiega il pomeriggio per una visita al sito archeologico di Gedi, distante appena 6 chilometri. Dopo esserci avviati a piedi, si decide poi di proseguire in “matatu”, il loro taxi collettivo, sempre affollatissimo e animatissimo.
Gedi risale alla fine del XIII secolo, distrutto dai Masai nel XIX, soltanto dal 1948 il sito è diventato parco nazionale. La visita ci occupa metà pomeriggio: prima si incontra la Tomba Datata, poi la Grande Moschea, dunque il Palazzo, il Museo, all’interno di un percorso ordinato e distribuito in mezzo alla foresta. Gedi raggiunse una popolazione di ben 3.000 anime, una città consistente per il suo tempo.
Conclusa la visita si rientra in “matatu”, mentre Pietro non dimentica di tenere i dovuti contatti con Firenze, dove proprio oggi è in programma e si tiene una particolarissima seduta del Consiglio Provinciale, con all’O.D.G. il tema del contrastato “gassificatore” per rifiuti, la cui realizzazione è prevista fra il Comune di Campi Bisenzio e quello di Sesto Fiorentino. Pietro, Presidente del Consiglio, è con noi, ma si tiene in contatto soprattutto con Luigi Nigi, Assessore all’Ambiente, che lo informa, non senza ironizzare sul fatto che qualcuno potrebbe chiedere le dimissioni del Presidente Pietro per assenza ingiustificata, così che Pietro risponde con un “… l’essenziale è che non chiedano le dimissioni dell’Assessore…”. In tarda serata si saprà che tutto si è svolto abbastanza correttamente, anche se non sono mancate le previste agitazioni, interne ed esterne al Consiglio Provinciale, agitazioni che l’esperta Rosalba, vice presidente e vicaria di Pietro, riesce a gestire alla grande.
Dopo cena ci si intrattiene con gli amici, tutti italiani, del nostro villaggio; sono in gran parte giovani, anche se non mancano, come ho già detto, i tradizionali “habituès”, qui trapiantatisi negli anni ‘80 per soddisfare esigenze diverse, ma anche per godersi questo piccolo paradiso a costi sostenibili.

28 Luglio

L’escursione mattutina è dedicata all’ “Isola dell’Amore”, che si raggiunge attraversando interamente l’abitato di Watamu, un Villaggio che, come altri della costa, si compone di tre distinte realtà: quella del quartiere indigeno, quella dei Villaggi turistici e quella del quartiere delle nuove abitazioni, costruite a partire dagli anni ‘80, in gran parte di proprietà di italiani. Mentre le nostre signore si “avventurano” verso l’Isola promessa e Pietro si riposa sulla spiaggia, all’ombra di alcune palme, io mi aggiro per curiosare all’interno del quartiere più recente, cercando di comprenderne l’impianto urbanistico che non esiste.
Prima di rientrare per il pranzo, io e Pietro ci intratteniamo con alcuni “beach boys” che stazionano abitualmente di fronte alla nostra Reception. Il più simpatico è Cesare e con lui si avvia la trattativa per un pulmino con il quale raggiungere l’Isola di Lamu, distante oltre 200 chilometri. Si è saputo che alcuni italiani hanno pagato (tramite agenzia) ben 250 dollari a testa, anche se tutto compreso e per 2 giorni. Noi vogliamo cavarcela in una giornata e quando riusciamo a contrattare un pulmino con autista per 30 dollari a testa, ci sembra un affare.
Nel pomeriggio si parte per visitare Malindi, a 22 chilometri di distanza, che percorriamo naturalmente con l’abituale “matatu”.
Malindi è la seconda città della costa, una stazione balneare cosmopolita, ma anch’essa con una presenza della comunità italiana preponderante, tanto da meritarsi il soprannome di “ Little Italy”. Città importante per il commercio marittimo fin dal secolo XV, accolse con favore Vasco de Gama in viaggio verso le Indie e fino al 1593 conobbe prosperità per merito della costruttiva presenza portoghese, prima di trasferire il suo quartier generale a Mombasa. Torna di attualità soltanto negli anni ’30 del secolo scorso e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale per lo sviluppo turistico, dovuto alla presenza, prima inglese, poi soprattutto italiana, a partire dagli anni ’70-‘80. Appena arrivati intorno al vecchio mercato, si visita subito il quartiere indigeno, fatto di piccole case, spesso fatiscenti ma molto caratteristiche, poi ci incamminiamo verso il lungomare, costeggiato da un interminabile viale di recente costruzione, per dirigerci verso la Colonna di Vasco de Gama, posta esattamente sulla baia. Fatta costruire in corallo dall’esploratore nel 1498 è uno dei più antichi monumenti europei dell’Africa nera. E’ a questo punto che Pietro riceve un’importante telefonata da Meme Auzzi, segretario metropolitano dei D.S., che lo informa del fatto che lo sta per proporre neo assessore della Provincia di Firenze, dato che nelle prossime ore (dopo la famosa votazione sul “gassificatore”), il Presidente della Provincia intende ricomporre la Giunta, operando alcune sostituzioni con nuove integrazioni. La soddisfazione di tutti è generale, anche se ancora persiste l’incertezza sul tipo di delega, che Pietro auspicherebbe per “Agricoltura, Caccia e Pesca”, esattamente come poi realmente sarà.
Rientrati da Malindi, si telefona alla nostra “mimma” Silvia, che ci dice “tutto bene”. Poi si passa alla cena, stasera tipicamente africana, che purtroppo non si terrà dislocata lungo i bordi della piscina come previsto, bensì nel ristorante di sempre, dato il tempo minaccioso di pioggia. La serata è conclusa dallo spettacolo del “Ballo dei Masai” e dall’immancabile mercatino dei prodotti di artigianato tipico (collane, bracciali, orecchini).

29 Luglio

L’intera mattinata è dedicata alla meritatissima visita al “Parco delle Mangrovie”, la vasta foresta intorno all’insenatura di Mida che, ancora una volta, raggiungiamo in “matatu” e dove, ancora una volta, si è immediatamente accerchiati dagli abituali abitanti del luogo che ci fanno visitare le proprie postazioni abitative e ci coinvolgono come possono anche allo scopo di racimolare qualche possibile mancia. Poi ci intratteniamo con un signore Italo-tedesco, che ha deciso di finanziare la realizzazione in loco di un eco-camping; l’opera (che consiste in qualche capanna o poco più) è in costruzione e sarà gestita da “imprenditori” locali.
All’ingresso del parco si è accolti con affabile gentilezza, soprattutto quando si avverte che siamo di Firenze, patria anche del Prof. Marco Vannini che il parco ha vissuto e studiato in più di un’occasione.
Ci accompagna un giovane molto informato che ci spiega tutto del parco, popolato da fenicotteri, aironi e altri fantastici uccelli, fra cui lo spettacolare martin pescatore, la cicogna dal becco giallo e l’aquila pescatrice africana. Non abbiamo bisogno dell’imbarcazione perché è bassa marea e dunque lo possiamo attraversare senza problemi. L’ultimo tratto, dove invece l’acqua è abbastanza alta, si attraversa lungo un percorso sopraelevato, fatto di assi in legno, che ci riconduce sulla terraferma.
Il primo pomeriggio si passa in piscina, prima di recarci alle Agenzie del Villaggio per trattare un mezzo per il viaggio in Tanzania. Si capisce subito che l’operazione è complicata, anche e soprattutto perché non sono abituati a viaggi organizzati artigianalmente così come noi proponiamo. Insomma, preferiscono accontentarsi di quel poco che offre loro il “mercato turistico” locale, fatto soprattutto di qualche mancia, che non ingegnarsi per attivare operazioni in qualche modo “imprenditoriali” ed autonome. Ed anche gli investimenti locali sono tutti di capitali stranieri e quasi totalmente estranei al loro possibile processo di sviluppo economico. E’ chiaramente evidente il fatto che il capitale straniero ha investito qui unicamente per sfruttare le risorse naturali, lasciando ben poco per lo sviluppo di quelle popolazioni che – ci dicono -quando va bene dispongono di un reddito pari a 50-60 dollari al mese.
Durante la cena ci scambiamo opinioni su come raggiungere la Tanzania e ci si orienta sull’uso di mezzi pubblici, spostandoci poi con mezzi affittati in loco.
Si conclude poi la serata con una lunga chiacchierata insieme ad una coppia di Modena, tradizionali frequentatori della zona, soprattutto perché interessati alla pesca grossa di altura, così come negli anni ’30 lo fu, proprio in queste parti, il grande Heminguey. Passione per la pesca, ma non meno per la caccia, che soddisfano in varie parti, compresa la Toscana, nella zona di Volterra, del Chianti ed altrove; ci parlano della vita sulla costa keniota, della presenza di tanti italiani in cerca di affari ed altro, ci dicono di aver visto più volte il giovane Agnelli Edoardo circolare per Watamu, opportunamente accompagnato e scortato. Ci congediamo con l’impegno di ragguagliarli sull’esperienza che faremo l’indomani all’Isola di Lamu, isola che, malgrado i loro molteplici viaggi in zona, non hanno mai visitato.

30 Luglio

La sveglia è per le 5.30 e la partenza per le 6.00, ma a quell’ora non v’è neppure l’ombra del pulmino, prenotato con l’intermediazione del nostro “beach boy” Cesare. C’è però un signore, fuori della reception che, avvertita la nostra preoccupazione, si dà un gran daffare per tentare di risolvere al più presto la nostra esigenza. Grazie, davvero molte grazie, ma non servirà, dato che alle 6.20 arriva il nostro prenotato. Ci informa subito che il costo è pari a 100.000 scellini, ovvero qualcosa come 110 Dollari, anziché i 150 previsti da Cesare. Si accorda immediatamente e si parte. Il paesaggio è molto verde, con foreste tipicamente tropicali, intervallate da coltivazioni prevalentemente di mais e girasoli. I primi 150 chilometri scorrono perfettamente, la strada è ottima e dopo Malindi anche scarsamente trafficata, mentre gli ultimi 50 sono, viceversa, disperatamente disastrosi, dove si procede a non più di 20-25 chilometri all’ora.
Lamu si trova quasi al confine con la Somalia, dunque siamo in zona “off limits”, una zona dove pare che non siano stati rari i casi di attentati da parte di bande organizzate somale. Allo scopo di prevenire cattive esperienze, a metà percorso, è obbligatorio che salga un militare per la scorta, naturalmente a nostro carico, che ci accompagna fino all’arrivo. Sarà o sarebbe davvero utile ed efficace in caso di necessità? Oppure, come qualcuno sospetta, l’adempimento non serve che per garantirsi qualche utile entrata aggiuntiva? Chissà!
Alle 11.00, finalmente, si giunge al porticciolo d’imbarco dove puntualmente parte il motoscafo per Lamu, che impiega non più di 15 minuti per arrivare. Ci si immerge automaticamente in questa magica città, punto di riferimento dell’intero arcipelago. Una città caratterizzata da un inestricabile dedalo di viuzze misteriose, dove l’unico mezzo di trasporto è il ciuco. Non vi sono auto e l’atmosfera è tipicamente alternativa, tanto da aver attratto, appunto, turismo alternativo, sia alla fine dell’800, sia soprattutto intorno agli anni ‘80 del secolo scorso, quando fu soprannominata la Katmandu africana per essere diventata l’ammaliante punto d’incontro internazionale di hippy e giramondo, che qui giungevano alla ricerca di un nuovo paradiso o di un ultimo rifugio, dove vivevano soprattutto di amore e poco altro, sfuggendo alle trappole della civiltà dello sfrenato consumismo, con a portata di mano, magari, le necessarie riserve di marijuana.
L’atmosfera è ancora oggi molto rilassata e rilassante e non sono rari i segnali che testimoniano l’esperienza appena richiamata, anche con la presenza fisica di giovani un po’ “attempatelli”, che continuano a garantire intatta la tradizione e lo stile che rendono unica questa città.
Si attraversa il centro, si visita la zona del mercato, poi il museo, quindi si torna sul lungomare e poi ancora all’interno dei vicoli contorti del centro storico. E’ nel ventre di questo labirinto che ci si accontenta di una brevissima pausa per consumare qualcosa e cogliere l’occasione per scambiare qualche opinione con un genovese, sicuramente avvezzo alle esperienze hippy, che qui sta trattando un terreno per costruirvi una casa e tornarvi definitivamente ad abitare con la moglie etiope.
Purtroppo il tempo corre e non ci consente di “bighelloneggiare” come Lamu richiederebbe; si riparte alle 15,30 e si rientra, completamente distrutti, dopo le 20.00. E’ stata un’ottima esperienza, anche se non posso non consigliare di dedicarvi almeno due intere giornate (meglio tre) per visitare, così, l’intero arcipelago. Peccato… anche perché non posso davvero garantire che ci sarà una prossima volta!
Dopo cena sono in programma danze africane, ma non siamo fisicamente in condizione di resistere troppo, tant’è che, stremati, cediamo rapidamente al sonno.

31 Luglio

A colazione Pietro ci racconta (come ha fatto altre volte, in altri viaggi) del sogno notturno, questa volta su come, eventualmente, “bypassare” il controllo della certificazione per la “febbre gialla” alla dogana della Tanzania. Antonia (che dispone del tesserino) passa per prima, poi a rotazione (ovviamente di nascosto) lo passa a ciascuno di noi.
Accusiamo ancora stanchezza per la faticaccia di ieri e quindi decidiamo di passare l’intera mattinata sulla spiaggia a riposare, ancora una volta nella zona dell’ ”Isola dell’Amore”. Io torno a curiosare il quartiere delle ville di stranieri, quartiere che tutti insieme attraversiamo per rientrare più tardi al nostro Villaggio.
Pietro (che già sente il peso della responsabilità dell’Assessorato) decide di passare anche il pomeriggio riposando, mentre noi torniamo a Malindi, sia per visitare parti non viste della città, sia soprattutto per verificare ulteriormente i possibili collegamenti con la Tanzania, collegamenti che risultano inesistenti con le usuali compagnie di viaggio. Si visita la città nuova (anch’essa abitata prevalentemente da stranieri), si torna al Casinò per cambiare i soldi e col “matatu” si rientra, dopo essermi preso (a parole, ma violentemente) con un buzzurro keniota che, alla domanda di Cristina “quando parte il matatu”, risponde sgarbatamente “quando è pieno”, giacché questo non è un taxi; come a dire: “sei italiano, puoi permettertelo, perché non prendi un taxi e parti quando vuoi?” Insomma, ci siamo presi, anche se questa è stata la riprova, probabilmente, del comportamento non sempre corretto degli stranieri (si legga italiani), dove i più vivono spocchiosamente, quasi da padroni, sicuramente invadendo spazi, tradizioni, abitudini e costumi del luogo. Non era e non è il mio caso e tanto meno era stato quello di Cristina ed è per questo che mi sono alterato, anche per fargli intendere che neanche tutti gli italiani sono uguali.
L’impresa finale, prima della cena, è quella di fronteggiare il gruppo dei “beach boys” che avevano saputo da Abdid (l’autista che ci aveva accompagnato a Lamu) di aver ricevuto 100.000 scellini, pari appunto a 110 dollari anziché 150, reclamando la differenza per loro. Si apre una trattativa e il giorno successivo si accontentano di un po’ di scellini, molto meno del preteso e tuttavia restano tutti assolutamente contenti e soddisfatti, visto che sono comunque da considerarsi aggiuntivi.
Il gioco condotto da Pippo per il dopo cena è quello delle imitazioni, con previsti premi che, ovviamente, nessuno vince mai. Pippo ci sa fare, tanto che una sera, a cena al nostro tavolo, ci ha fantasticato di essere uno dei 40 figli del babbo, che il babbo aveva 90 anni e 4 mogli e che lui stesso aveva già, ancora giovane, 10 figli.

1 Agosto

Ieri mattina avevamo inteso di aver prenotato la barca per visitare, stamani, il Parco Marino, a poca distanza dalla nostra costa. Alle 10.00, l’ora programmata, nessuno si presenta a conferma della scarsa attendibilità dell’organizzazione locale. Sicuramente avranno trovato affari migliori, magari non “trattati” con streniutà come siamo soliti fare noi; anzi, Cristina ed io, soprattutto. Si decide, comunque, di partire, accompagnati immancabilmente dai fedeli “beach boys”, che ci indirizzano verso un’altra postazione di partenza. Con 20 dollari si affitta una barca e ci si allontana dalla riva, per quanto non eccessivamente. La visita è straordinaria, anche se personalmente resto col sospetto che abbiano delimitato una specifica area dove sono, come concentrate, infinite specie di pesci. Antonia e Pietro di gettano in mare e con l’apposita maschera perlustrano in lungo e in largo, mentre noi restiamo a goderci lo spettacolo che offre il fondo trasparente dell’imbarcazione. Si tratta di infinite specie di pesci e numerosissime specie di coralli, che formano una delle barriere più interessanti della costa keniota. Per la visita si impiegano un paio di ore e sulla via del ritorno si è sorpresi ( … poi, mica tanto!) da uno dei rituali acquazzoni, rapidi e intensi, ai quali ormai siamo quotidianamente abituati, malgrado la stagione delle piogge sia ufficialmente conclusa da oltre un mese.
Il primo pomeriggio è dedicato al riposo, data anche la sfacchinata in programma per il giorno successivo. Pietro e la coppia di Modena si attardano a illustrarsi i più suggestivi programmi di caccia, programmando anche cacciate lontane, come ad esempio al confine con la Romania dove, appunto, l’amico modenese ha in concessione (insieme ad altri amici, anche chiantigiani) apposite tenute di caccia e dove si reca alcune volte all’anno. Pietro promette che alla prossima occasione sarà felice di essere uno del gruppo.
A metà pomeriggio si torna all’interno di Watamu per un’ultima visita e per cogliere anche l’occasione di acquistare alcuni prodotti tipici dell’artigianato locale.
Dopo cena si salutano i conoscenti incontrati sul posto, mentre Antonia tenta (riuscendoci perfettamente!) di mantenere i contatti telefonici con l’amico Abdid, l’autista che l’indomani mattina dovrà condurci a Mombasa, dopo che è definitivamente saltata l’ipotesi di farci accompagnare dal pulmino del nostro Tour Operator (che parte su per giù alla stessa ora), in quanto non era stato messo in programma fin dall’inizio, dato che si era inizialmente immaginato di lasciare Watamu con un mezzo diretto verso la frontiera della Tanzania.

2 Agosto

Si consuma subito un’abbondante colazione, sufficiente per l’intera giornata, poi si verifica con soddisfazione che l’amico Abdid sta attendendoci e dunque, alle 8.15 si parte, dopo aver concertato con Federica le modalità di contatto per riprendere l’aereo la settimana successiva.
Il paesaggio è molto ben coltivato, anche se soltanto con mais e girasoli, sembra abbastanza rigoglioso, è verdissimo proprio anche perché siamo da poco fuori dalle grandi piogge. Servono due ore e mezzo per raggiungere Mombasa, dove si arriva verso le 11.00, dirigendoci subito presso la stazione autobus da dove, secondo la guida, partono mezzi diretti a Moshi (città della Tanzania), attraverso la frontiera di Taveta. Il pullman esiste davvero, ma dopo le recenti disposizioni, adottate per motivi di sicurezza, che impediscono di viaggiare nottetempo, vi è la condizione di pernottare nel “paesucolo” di Taveta e quindi ripartire l’indomani mattina. A me l’idea non dispiacerebbe affatto, ma resto praticamente da solo a sostenerla, prevalendo invece l’idea di affittare un minibus che ci accompagnerà fino alla frontiera, mentre dalla frontiera di Moshi è previsto un altro mezzo. Naturalmente si svolgono le normali trattative, dopo di che si parte imboccando l’arteria principale del Kenia: la Mombasa-Nairobi. Il tratto iniziale è letteralmente disastrato, a causa dei robusti lavori in corso per raddoppiare le carreggiate. Le imprese impiegate sono cinesi e giapponesi e ciò fa sperare che in pochi mesi il tutto sia a posto. Intanto, però…! Pazienza!
Si arriva alla frontiera quando ormai sta per imbrunire. Il controllo passaporti è rapidissimo, ma c’è un piccolo inconveniente che, in verità, avevamo già appreso dalla giuda. Fra le due frontiere insiste un tratto di circa 4 chilometri di cosiddetta zona franca, che non può essere (di norma) attraversato se non a piedi, tant’è che è istituito un servizio trasporto-bagagli con biciclette. Noi insistiamo per farci accompagnare con il nostro minibus keniota e (incredibile, ma vero) vi riusciamo, anche senza elargire alcuna mancia.
Arrivati in Tanzania ci sono da sbrigare le operazioni del visto di ingresso che, tentano (ignari della nostra capacità di testarda resistenza) di farci pagare equivalendo il dollaro all’euro. Riusciamo invece a cavarcela con 40 euro, equivalenti ai previsti 50 dollari, dopo aver convinto la responsabile dell’ufficio (una signora particolarmente gentile e grata per i complimenti che le rivolgiamo) della corretta corrispondenza del cambio ufficiale.
Si riparte per gli ultimi 60 chilometri che ci separano da Moshi, dove arriviamo intorno alle 20.00, diretti subito verso un hotel che sta al centro della città e dispone dell’apposita terrazza dalla quale, i fortunati, riescono al mattino a godersi lo scenario del Kilimangiaro.
Si consuma la cena al ristorante dell’ hotel, una cena servita con estenuante lentezza, di scarsa qualità e ad un costo di circa 10 euro, quindi carissima per quelle parti. Ma siamo davvero provati e dunque la comodità di non doverci spostare vince su qualsiasi altra aspettativa.

3 Agosto

Appena alzati si scappa subito sulla terrazza dell’ultimo piano, sia perché qui servono la colazione, sia perché la fortuna potrebbe consentirci di avvistare il Kilimangiaro. Purtroppo non sarà così, a causa della persistente nebbia che solitamente interessa quest’area. Peccato… anche se rimedieremo di lì a qualche giorno.
Durante la cena del giorno precedente eravamo stati avvicinati (immancabilmente!) da un giovanotto, procacciatore di clienti per il safari. Stamani è naturalmente di nuovo sul pezzo e con lui apriamo una trattativa per un fuoristrada che ci conduca nei parchi programmati. Si conclude abbastanza sbrigativamente, addirittura con la sottoscrizione, da parte di Antonia, di un contratto, un contratto messo in discussione subito dopo, sia perché si pretenderebbe l’anticipo di tutta la quota, sia perché ci chiedono l’aggiunta di 100 dollari. E’ così… ma a noi non pare e, dopo un’accesa litigata, si sceglie un altro vettore per partire, finalmente, verso l’ambita destinazione dei parchi. La strada, questa volta, è ottima e ci introduce all’interno di un paesaggio piatto, verde e rilassante all’inizio, caratterizzato da steppa successivamente per condurci, infine, nell’area del parco del Lago Manyara, dal quale si sale verso il Cratere del Ngorongoro.
Alloggiare all’interno dei Residence dei parchi costa un’esagerazione che evitiamo, accogliendo il consiglio della guida, che ci suggerisce di alloggiare, in alternativa, a Karatu, un vero e proprio villaggio di frontiera, dove il mondo sembra fermarsi (… o forse non sembra soltanto), dove oltre c’è il mondo della natura animale, insieme a qualche umano Masai. Decidiamo di alloggiare all’Hostal luterano, immerso nella quiete di un parco così avvincente da farci rinunciare all’ipotesi di sperimentare almeno un pernottamento in tenda, all’interno di uno dei parchi. Costa 20 euro a coppia e per altri 5 è servita anche la cena, che stasera consumeremo insieme ad un gruppo di devoti luterani.
Durante il pomeriggio si visita il paesotto che si distende lungo la via principale, anonimo, senza particolari caratteristiche, proprio perché meta di transito verso l’altrove. Presso il “Paradise Garden” si tratta il mezzo per la visita ai parchi, una lunga trattativa che coinvolge il manager, il direttore ed il coordinatore dell’agenzia. Tutto si conclude comunque positivamente e alle 20.00 si conclude anche la cena a base di spaghetti, carne e verdure, prendendo poi posto nelle nostre camere spaziose, essenziali, luterane, ma comodissime, silenziose, pulite ed accoglienti, adatte proprio a coloro che a Karatu si recano unicamente per passare ai parchi, dunque adatte assolutamente a tutti.

4 Agosto

La partenza per una delle mete più ambite è alle 7.30, dopo esserci abbuffati per una ricca colazione, data anche l’incertezza per il pranzo odierno. Oggi tocca al Cratere del Ngorongoro, ottava meraviglia del mondo, ovviamente dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Ci separano appena 25 chilometri e dunque, dopo aver attraversato una splendida foresta tropicale, siamo all’ingresso dell’area protetta. Il nostro accompagnatore sbriga le operazioni e soprattutto ci avverte che il costo del biglietto è carissimo: si paga per entrare, per uscire, per sostare, per l’auto. Insomma è tutto un pagare, tant’è che le entrate derivanti dalla gestione dei parchi rappresentano una quota quasi decisiva per il bilancio dello Stato. Si paga, ma merita davvero, sono soldi spesi bene.
Si sale fino a 2.300 metri, per riscendere poi a 1.700 all’interno del Cratere, un gioiello inviolato d’incomparabile bellezza, incredibilmente verdeggiante, dove gli animali stanziano permanentemente, cibandosi dei tanti prodotti offerti da una natura davvero rigogliosa. Una spettacolare meraviglia, un vero giardino dell’Eden, capace di offrirci spettacoli naturali di incommensurabili emozioni. L’apertura e lo sviluppo turistico del Cratere risale agli anni ’60 del secolo scorso, penalizzando violentemente le popolazioni Masai, pian piano allontanate dall’area protetta a Parco per rifugiarsi nei villaggi d’intorno.
Quel che immediatamente colpisce è la sua grandiosità: misura 20 chilometri di lunghezza e 17 di larghezza; le sue pareti sono ricoperte da boschi di faglia ed il fondo è caratterizzato da condizioni ottimali per il pascolo, anche se misto di steppa, savana, ruscelli, acquitrini e piccole foreste che rendono ideale l’habitat (ovviamente) per migliaia e migliaia di animali di ogni razza. C’è proprio di tutto e si potrebbe addirittura sostenere che c’è di troppo: leoni, elefanti, rinoceronti, bufali, leopardi, giraffe, impala, zebre, ippopotami, gnu, facoceri, struzzi, sciacalli, iene, gazzelle. Insomma, siamo in presenza di una specie di zoo libero e all’aperto. Con il nostro fuoristrada si dà avvio alle perlustrazioni e si incontrano tutti (… e di più) gli animali sopra elencati. Si assiste a scene misteriose per noi umani, come il lontano e lento scrutarsi fra due leonesse, che poi si scoprirà essere madre e figlia, oppure lo svolgersi di riti incomprensibili fra gruppi di razze omogenee… ed ancora l’assumere intese sottili per facilitare la convivenza di stili, costumi, esigenze, talvolta addirittura contrapposte, fra animali costretti o convinti a vivere all’interno di uno stesso spazio quotidiano.
Si passa un’intera giornata, straordinariamente emozionante, all’interno del Cratere, con una breve sosta per un frugale pic-nic con qualche panino che ci siamo portati dalla colazione. Il tempo è meraviglioso, abbiamo indovinato la stagione giusta perché secca e dunque possiamo spostarci comodamente all’interno dell’Eden.
Vorrei però non dimenticarmi di ragguagliarvi a proposito della visita al villaggio di abitanti Masai, visita che anticipiamo rispetto all’ingresso nel Cratere. L’accoglienza è quasi commovente, anche se qualcuno sospetta che possa aver giocato anche il fatto che comunque si tratta di una visita a pagamento. Comunque sia, ci aprono letteralmente le porte di casa, anche perché non hanno né case, né porte, ma semplicemente capanne costruite con letame e sterco di mucca, raccolte intorno allo spazio destinato proprio alle mucche, dove naturalmente (è davvero il caso di ricordare che tutto il mondo è paese!) hanno allestito alcune bancarelle di prodotto artigianali di loro produzione. Ci accolgono con loro tipici canti, con danze saltellanti, con cerimonie difficilmente decifrabili. E’ l’occasione per immortalarci insieme, per tentare di capire qualcosa di più del loro vivere così ai limiti, per visitare le capanne, dove alloggiano, per i primi mesi di vita, anche i nati delle mucche. Con Pietro, anche nella sua veste di neo-assessore all’agricoltura, si progetta di costruire anche da noi, in Toscana, villaggi tipici mezzadrili, con le nostre massaie e i nostri capoccia intenti a guidare le visite di turisti incuriositi.
Il rientro a Karatu è intorno alle 17.00 e prima di cena, in programma alle 19.00, si attraversano di nuovo le poche contrade, si liquidano i 400 euro per l’affitto di tre giorni del fuoristrada, si fanno alcuni acquisti (soprattutto pile per le macchine fotografiche che ne consumano l’inverosimile) e poi si rientra. Dopo cena non resta che tentare, purtroppo invano, di intercettare qualche programma televisivo comprensibile e non riuscendovi, dopo una mezz’oretta trascorsa a cincischiare nel salotto dell’hostal, si approfitta di quelle comode camere che ci sono state assegnate nel tentativo, anche, di combinare sonno e sogno, così da rivivere quell’impressionante esperienza che il Ngorongoro ci ha concesso e garantito.

5 Agosto

Si chiede e gentilmente si ottiene di poter consumare la colazione alle 6.00, così come si ottiene di farci preparare un cestino per il pranzo. Subito dopo si parte per raggiungere il Parco del Serengeti, dove arriviamo dopo oltre 3 ore di viaggio. Si riattraversa il Ngorongoro (senza però scendere nel Cratere) e dunque ci tocca pagare per ambedue i parchi. Ma fin qui siamo nelle regole, se nonché, proprio sulla base di quella regola che stabilisce – come vi dicevo – che tutto quanto di più ci si può accaparrare dai visitatori stranieri è una buona regola tentano, ancora una volta, sfacciatamente di fregarci. Per superare uno dei tanti attraversamenti c’è da pagare 25 dollari a testa e siccome siamo in 5 il conto è presto fatto: 125 dollari. La richiesta è invece di 225 e malgrado si utilizzi anche una loro calcolatrice non si riesce a convincere il giovanotto della biglietteria. Neanche il nostro accompagnatore ci aiuta e soltanto il direttore dell’ufficio sarà “costretto” a riconoscere che, se anche può esser vero che la matematica può essere un’opinione, ciò tuttavia non vale quando ha a che fare con turisti come noi.
In lingua Masai, Serengeti significa “terra arida ed estesa” e rappresenta davvero un altro dei paradisi del Pianeta. Vi vivono e si riproducono in libertà miriadi di animali di tutte le specie, di tutte le dimensioni, in un paesaggio degno del primo giorno del mondo, che fa pensare proprio a come dovesse rappresentarsi l’Arca di Noè. Una pianura interminabile, una savana piatta e senza piante, sulla quale si elevano qua e là, come isolotti, curiosi ammassi di rocce granitiche chiamate “kopje”.
Questo è il regno degli animali, qui il turista può accedere, ma senza il loro permesso che non concederebbero; siamo indesiderati, forestieri, preoccupiamoci anzitutto di non disturbarli, proprio perché ci siamo appropriati (senza, appunto, la loro autorizzazione) del loro territorio, dei loro spazi naturali, dove impera l’armonia e la perfezione della natura, ivi compresa, ovviamente, quella regolata dal mondo degli animali che la custodiscono. Vogliono vivere compiutamente la loro libertà che noi invadiamo arbitrariamente, vogliono essere nomadi e sedentari, vivere la loro vita sociale di gruppo, sono organizzati e solidali contro il nemico, anche se poi, per pura necessità di sopravvivenza (…e non per cattiveria) passano gran parte del loro tempo ad appostarsi, a spiarsi, a regolare le forze per consentirsi di divorarsi l’un l’altro, sulla base di quella legge impietosa per la quale “… il più forte ha ragione sul più debole”. Anche questi principi regolano la natura, quella natura selvaggia, magnifica e insieme terribile, che lasciamo ai nostri amici animali.
Anche qui, ovviamente, si incontrano tutte le specie, più distribuite rispetto al Ngorongoro, scoperte spesso nei loro nascondigli, dai quali emergono provocando emozioni inenarrabili. E’ così soprattutto per la famiglia dei leoni, abituata a sostare lungo i contorni delle strade, senza escludere che talvolta scendano proprio sul nostro – loro percorso, tanto che ci è capitato persino di doversi fermare perché un leone si era accomodato, appoggiandosi alla ruota di un fuoristrada, bloccando così il traffico di tutti. Attraversiamo lunghi tratti del parco, anche se il tempo, ancora una volta, non ci consente di visitarlo interamente, dato che servirebbero almeno 3-4 giorni. Tuttavia riusciamo ad apprezzare le parti e le componenti più significative e spettacolari, fin quando intorno alle 14.00 si arriva ad una delle poche aree nelle quali è possibile scendere, toccare terra, e consumare il nostro “parco” menù. E’ affascinante la visita del Serengeti, tanto che tocca e mette alla prova anche tutte le nostre forze (si parte alle 6.00 e si rientra alle 19.00) e si esce dal parco con il saluto di un gruppo di scimmie, che stanno specchiandosi agli specchi di un pullman, incuriosite e divertite dell’opportunità loro offerta di poter “gigioneggiare” insieme ai turisti, ormai stremati e desiderosi soltanto di una doccia copiosa e di una cena servita comodamente; proprio come capiterà a noi, nel nostro tranquillo relax luterano, dove la signora ci aspetta, pronta a soddisfare, come sempre e al meglio, ogni nostra esigenza.

6 Agosto

Oggi è domenica e nel nostro villaggio luterano è giorno festivo. Quando alle 8.00 incontriamo Antonia a colazione, ci informa che nei pressi c’è una chiesa, dove lei ha assistito ad una parte della Messa, ma ciò che più incuriosisce è il fatto che la partecipazione è totale, sia sotto l’aspetto della quantità (la Chiesa è letteralmente affollata ed alcuni sono costretti a restare fuori), sia sotto quello della devozione. Più tardi (completata la colazione e sbrigate le operazioni di rilascio delle camere) ci rechiamo anche noi, soprattutto per apprezzare l’organizzazione perfetta della cerimonia, la partecipazione, appunto, nonché i costumi delle donne, oggi particolarmente ricercati.
Quando si rientra all’Hostal è già l’ora della partenza, dunque ci si accomiata con saluti e ringraziamenti, reciprocamente affettuosi e cordiali. Siamo stati davvero bene, l’Hostal luterano è sicuramente da consigliare, così come lo è il villaggio di Karatu, assolutamente strategico e baricentrico per una visita ai parchi dell’area.
Si parte dunque per l’esplorazione del nostro terzo parco, quello del Lago Manyara, distante appena mezz’ora. Piccolo e bello, posto sul fondo di un’ampia vallata, ricchissimo di acqua, dove anche la foresta tropicale ha preso residenza. Si arriva e si entra senza troppe cerimonie, soprattutto perché ben attrezzato, data la recente revisione delle strutture di accesso. Ancora una volta è possibile far visita senza però scendere a terra e dunque si segue l’itinerario, quasi obbligato, introdotto da una precisa pista, che comunque corre lungo l’area paludosa del lago. Grazie alla presenza di acqua abbondante, tutto è rigoglioso e verde: crescono fichi, croton, acagiù, alberi cosiddetti delle salcicce, palme e tamarindi. Numerose sono anche le specie di animali, per quanto notevolmente inferiori ai parchi già visitati. Qui vive, invece, lungo il lago, una copiosa compagine di fenicotteri, insieme a tantissime altre specie di uccelli che, secondo gli ornitologi, dovrebbero aggirarsi intorno alle 350 unità, quindi un numero impossibile da elencare.
Dopo una breve sosta lungo il lago per consumare alcuni biscotti e qualche panino che abbiamo racimolato al mattino durante la colazione, ci dirigiamo ad Arusha, la seconda città della Tanzania, da dove l’indomani partiremo con l’aereo per Zanzibar. La stanchezza si è impossessata di noi (la visita ai parchi è memorabile, così come l’insieme delle difficoltà e soprattutto il disagio dovuto principalmente alle condizione della viabilità) e non meravigli se lungo la via del rientro quasi tutti accettino di non opporre resistenza al sonno.
Si arriva a metà pomeriggio e si sceglie un Hotel centrale, ma soprattutto frontale alla stazione di partenza della navetta della compagnia aerea. Subito dopo si dovrà questionare a lungo con il nostro accompagnatore che, come al solito, fa finta di un capire il fatto che, avendo incluso l’insieme dei servizi nel prezzo inizialmente concordato, non ci resta semmai che liquidargli una mancia. No, lui pretenderebbe di essere addirittura pagato con 20 dollari al giorno e così in 3 giorni avrebbe garantito uno stipendio pari a quello medio mensile (oltre, naturalmente a quello che l’agenzia, poco o tanto, gli avrà garantito). Insomma, la storia si ripete, così come si ripete la nostra resistenza, soprattutto alla loro presunzione di considerarci o ricchi sfondati o sprovveduti e imbecilli.
Si parte poi per una visita della città e mentre Sandra, Antonia e Cristina decidono di visitare un Museo, Pietro ed io tentiamo di capire qualcosa di più a proposito dell’eventuale mezzo pubblico per raggiungere (dopo la sosta a Zanzibar) la città di Mombasa, in Kenia. Pare che la Scandinavian offra di gran lunga i servizi migliori, ma quando ne constatiamo il livello dell’organizzazione, ci rendiamo subito conto che sarà comunque dura. La visita all’area del mercato continua, imbattendoci in una cerimonia battesimale e in un concerto Gospel che si tiene allo stadio, completamente ricolmo. Quando ci si ricongiunge con le signore è ormai l’ora della cena, che consumiamo accendendo una chiassosa discussione sul tema dei giovani oggi, giovani che mi prendo la piena responsabilità di difendere quasi in tutto, forse perché un certo tasso di sana invidia sta oramai corrodendo il mio scivolare verso un’età post matura. Bravi, belli, buoni, eccezionali, vivaci, intraprendenti, ricchi di risorse in crescita, capaci eventualmente di adattarsi a modifiche che il mondo e la storia, da noi maturi prodotta, dovessero consigliare od imporre. Io sto con loro… e ci sto quasi più volentieri quando mi sembra che sbaglino, forse proprio perché su tutto impera il mio e il nostro convincimento di essere ancora capaci di offrire loro consigli o addirittura lezioni. E da bravo estimatore di questo nostro Paese Italia (specialmente adesso che è Ministro degli Esteri Massimo D’Alema), sostengo con forza ed energia che i ragazzi e i giovani italiani sono ancora migliori di tutti gli altri, anche se questa è una mia conclusione, non troppo condivisa da nessuno dei presenti alla cena. Vi ho intrattenuto un po’ più del solito, ma volevo dirvi che, anche in vacanza e anche durante la cena, non manchiamo mai, assolutamente mai, di farci riconoscere, tentando soprattutto di animare, gratuitamente, serate diverse anche per i nostri amici casuali, appena incontrati in un qualsiasi ristorante, di un qualsiasi Continente.
Prima di dormire dedico qualche decina di minuti alla lettura della guida e ad un certo punto scopro che potremmo, eventualmente, rientrare dall’Isola Zanzibar con un battello in notturna, proprio per utilizzare al meglio tutto il poco tempo a disposizione, mentre Sandra (molto più rilassata e raffinata, per niente interessata alle modalità di spostamento e con la competenza che la contraddistingue) mi intrattiene, piacevolmente, con la lettura di un reportage del noto giornalista – scrittore – saggista – viaggiatore polacco Kapushiski, che stasera si sofferma proprio sulla sua esperienza maturata ad Arusha.
E con questo, non mi resta che augurarvi una squisita, piacevole e meritata buonanotte.

7 Agosto

La partenza dell’aereo è alle 6.00 e siccome l’aeroporto è distante 50 chilometri, è necessario svegliarsi prima delle 5.00 e partire con la navetta. Tutto funziona al meglio, gli orari sono rispettati e ciò premia la nostra scelta di utilizzare l’aereo anziché la via terra, dati i suoi tempi interminabili e dato anche il nostro poco tempo a disposizione. Anche Arusha è vicinissima al Kilimangiaro ed il volo in aereo ci consente di superare la coltre nebulosa e dunque goderci la splendida vista delle sue cime innevate. Un vero spettacolo di fronte al quale è difficile non impegnarci a programmare un prossimo viaggio per raggiungere, camminando, l’ambita vetta del gigante.
Arrivati a Zanzibar si sbrigano le ordinarie operazioni, insieme però alla ricerca di un volo che, nei giorni a venire, ci riconduca a Mombasa in tempo utile per il nostro Mombasa – Roma. Ci si riesce, oltretutto sincronizzando alla perfezione i necessari incastri, senza alcun spreco di tempo. Poi si raggiunge la città, la “Stonetown” e nel suo cuore centrale si prenota per due notti un simpatico hotel. L’impressione è di una città molto particolare, con i suoi vicoli stretti e pedonali, con i suoi tipici negozi di artigianato locale, il frullare di gente che sembra (sembra soltanto!) indaffarata, senza sapere perché e per che cosa. C’è vivace animazione, sembra di vivere in un quartiere della nostra Napoli, ovvero all’interno di alcuni quartieri della Habana Veja, a Cuba, magari quello dove l’animosità della sua gente si confonde con il daffare di alcune imprese edili, alle quali è stato affidato il compito del restauro o della conservazione, intatta e permanente.
Zanzibar, ci siamo, siamo nell’isola che insieme alle spezie è stata capace di esportare… sogni. Poeti e scrittori europei hanno insistentemente sognato, magari soltanto con la pura fantasia, di visitare Zanzibar.Fu così per Baudelaire, per Verne, per Kessel e soprattutto per Arthur Rimbaud. Stonetown è veramente affascinante: per le sue case, per come sono rifinite le facciate, per la singolare preziosità delle loro porte, assolutamente tutte scolpite, spesso infarcite di scritte coraniche. Una città affacciata in gran parte sull’oceano, anche se la sua vita sociale si svolge quasi interamente al centro del suo nucleo storico interno.
La curiosità è tanta e scoprire le sue particolarità più tradizionali costituisce il vero scopo della nostra visita, naturalmente viaggiando a piedi, con lo sguardo attento e gli occhi rivolti verso l’alto. Stasera si visita l’ex Consolato britannico, poi il Forte Vecchio e il Palazzo delle Meraviglie, dove sono raccolte testimonianze storiche della vita di Zanzibar. Non c’è troppo turismo e il numero degli italiani è molto esiguo, mentre anche qui il fascino dell’Italia ha fatto discretamente presa. Ed allora, come sottrarsi a socializzare con questo popolo di strada, che ci invita alle chiacchiere, ai canti, alla musica, anche se con il preciso intento di coinvolgerci in acquisti? Io non resisto e mi faccio contagiare e coinvolgere, amante come sono della caciara improvvisata, della mescolanza casuale, dello scambio mirato ad approfondire conoscenze, tradizioni e miti, per evocare immagini esotiche che hanno fatto parte della vita e della storia di Zanzibar.
La ricerca di un ristorantino un po’ particolare è stasera una ricerca vera ed impegnativa. Alla fine… dai, picchia e mena, ci si fa convincere dalla descrizione che la guida fa del “Plaza”, affacciato sul mare e gestito da un ex sommelier di Bruxelles. Si sviluppa su tre piani e l’ultimo costituisce un’intima terrazza, con un vero fascino di romanticheria, dove si incontra un pubblico ad occhio, casualmente, selezionato. Si è accolti squisitamente dal sommelier (il proprietario), che ci consiglia piatti indovinati e dove tutto compreso (compreso un servizio eccellente) costa non più di 10 Euro.
Ancora una breve visita in notturna (anche per smaltire almeno in parte l’abbondante menù), poi si torna in hotel, appassionatamente corteggiati dagli amici di strada, che con mezzo pomeriggio sono già in grado di familiarizzare, di considerarci parte interessata, sia alla scoperta della città, sia sopratutto ai potenziali acquisti, che con insistenza garbata continuano a volerci propinare.

8 Agosto

Dopo una notte turbolenta per i ripetuti acquazzoni che riescono addirittura a disturbare i nostri sonni, ci raccogliamo sulla terrazza panoramica, posta all’ultimo piano, per la colazione, immortalando il chiaro cielo azzurro, beneficamente ripulito dai temporali notturni. Confina con il nostro tavolo quello di una coppia di giovani italiani, di Salerno lei e di Avellino lui. La ragazza sta molto male, fino al punto di sospettare qualche malattia contratta in loco, ma quando ci specifica di essere contrariata soprattutto da una insostenibile nausea, noi le prospettiamo immediatamente un bel “Plasil” che, naturalmente, abbiamo a portata di mano. Poi ci salutiamo, dopo essermi complimentato della sua città Salerno e dopo aver registrato una scarsa convinzione che il nostro medicinale possa sortire effetti incoraggianti. Tutto, però, sarà chiarito in giornata, quando la ragazza farà ricerca di noi e soprattutto, naturalmente, di Sandra… e quando finalmente ci incontra in un negozio, si scioglie fino all’inverosimile, quasi si commuove, ci stringe forte e ci ringrazia per averle risolto un piccolo – grande dramma che l’aveva davvero preoccupata.
Dedichiamo l’intera ultima mattinata al piacere del mare, con una sosta prolungata su una spiaggia, pressoché deserta, a 10 chilometri dalla città, appena sul confine con quella riservata alla Polizia Marina. Lo spettacolo è ancora una volta struggente, con l’impresa oceanica della natura che, dopo la bassa marea, torna a riempire di sé la sconfinata distesa di spiaggia. Si perlustra, si scoprono quantità numerose di molluschi, stelle marine e quant’altro offre la varia ricchezza di questo mare, prima di rientrare con un normale mezzo pubblico rintracciato sulla via principale e dopo esserci intrattenuti in un piccolo bazar di medicinali prodotti con erbe naturali, dove io acquisto alcuni sali contro il mio storico mal di testa.
Il pomeriggio è dedicato ad alcuni acquisti, mentre programmiamo la sosta per un thé al noto bar – gelateria “Amore mio”, naturalmente di gestione italiana, anzi milanese. Appena accomodati, Antonia chiede alcune informazioni su quanto offra la casa (mi pare a proposito di un gelato), ottenendo una risposta a dir poco sgarbata. L’accoglienza è più che fredda, quasi scostante, fino al punto che io reagisco, chiedendo più riguardo, specialmente per le spiegazioni avanzate dalle signore. La risposta è persino peggiore, fino a prospettarci, se del caso, di alzarci. Così faremo, ma ciò che resta più grave è che la nostra rappresentanza, in terra straniera, può essere in mano anche a gente come questa. Peccato!
Consumiamo l’ultima cena ancora una volta al “Plaza”, dove incontriamo ragazzi italiani e dove ci congediamo, con saluti graziosi e gentili, prima con il prestante personale, poi con il mancato sommelier belga, proprietario del ristorante; alle 22.30 andiamo a coricarci, dopo aver riattraversato le contorte ed animate vie del quartiere più storico della città.

9 Agosto

Il taxi prenotato in precedenza è pronto nella hall dell’hotel già prima di concederci una rapida colazione. Siamo i primi, addirittura in anticipo e così anche in anticipo (ritardato) veniamo a conoscenza che Antonia ha smarrito la macchina fotografica.
Si parte e dopo un quarto d’ora siamo in aeroporto, dove Sandra incontra una sua insegnante, accompagnata da marito e figlio. Poi si salutano alcuni turisti che, casualmente, abbiamo incontrati durante la nostra permanenza, dunque tentiamo (riuscendoci, per fortuna) di ottenere postazioni comode sull’aereo. Il resto del tempo è dedicato, essenzialmente, a divertirci nell’osservare i vari e ripetuti tentativi operati dal personale dell’aeroporto per ottenere improbabili (almeno da parte nostra) mance immeritate. Ci chiedono di aprire la valigia… e in un orecchio ci avvertono che possiamo evitare il controllo con 10 dollari; più in là qualcuno (secondo Pietro e me, gente qualsiasi addetta, forse, alle pulizie) chiede di controllare il passaporto… ed ancora una volta si indugia, da parte loro, in attesa che, magari, qualcuno possa scucire qualche soldarello… e potremmo continuare ancora.
Poi si parte, dopo che il giovane, cordiale, efficiente personale della compagnia “Neos” ha , concluso le dovute operazioni preliminari. Tutto scorre ben bene e all’ora programmata, si atterra a Fiumicino, concludendo così un’altra meta ambiziosa, dai difficili confini ordinari, dove ancora, malgrado tutto, impera il regno animale. C’è Africa e Africa, questa comincia a presentarsi come Africa vera, in attesa di quella più interna, di quella esclusivamente nera. Sarà, sicuramente sarà per una prossima volta, anche se non sarà per la volta prossima, dato che la prossima sarà l’Africa della costa mediterranea, quella della Libia.
Perché, come dice bene Javier Reverte:

“Il viaggio è uno spazio
in continuo movimento,
dove sembra fermarsi soltanto
il tuo tempo interiore.
Osservi quel che succede intorno a te,
e al contempo ti lasci coinvolgere,
ti stupisci, ti commuovi,
senti la tenerezza degli uomini
e anche il timore
davanti all’imprevisto: ti osservi
mentre guardi fuori di te…
Il viaggio ci trasforma
in esseri liberi, fa sì che ci vediamo
bloccati nello specchio del tempo
mentre il mondo
corre al nostro fianco”.

Ho messo giù queste righe, con gioia ed affetto per chi avrà la pazienza di non gettarle alle ortiche, consapevole di aver consumato minuti preziosi alla mia impagabile Silvia che, con la generosità di sempre ha confezionato il tutto, con l’animo ormai in pace per dover supportare e sopportare un babbo, incapace di aggiornarsi sullo sviluppo della moderna tecnologia.