455

Già sono musica le prime modulazioni della voce: anzi la voce, corda vibrante naturale, è il primo strumento musicale. E’ una forza archetipica dotata di un potente dinamismo creatore, capace di generare miti e  significazioni religiose[1].
Straordinario consueto esempio sono le grida del neonato.
Ma tutte le emozioni intense che scandiscono la vita, prima suscitano l’emissione della voce, poi una ricerca per esprimersi attraverso strumenti. Provocano una sorta di esplosioni sonore dell’essere, della sua parte più intima ed emozionale, che tenta di superare, in un non luogo musicale la percezione della banalità della vita.
Certo è che l’inclinazione verso la musica appare fin dalla prima infanzia, è fondamentale in tutte le culture e probabilmente è innata e risale agli albori della nostra specie. Rousseau nel suo Saggio sull’origine delle lingue[2] assegna al suono ritmico un ruolo fondativo, da esso si costituisce il linguaggio e ogni lingua è fatta di suoni e di ritmi.
Darwin  ipotizzava che i suoni e i ritmi fossero usati dai nostri progenitori  durante la stagione del corteggiamento, quando gli animali di ogni sorta sono eccitati non solo dall’amore, ma da intense passioni come la gelosia o la rivalità. Spencer era di avviso opposto: riteneva che la musica fosse scaturita dal linguaggio reso vibrante dall’emozione. Rousseau pensava invece che fossero sorte insieme sotto forma di linguaggio cantilenante, per poi divergere in seguito.
Viene da pensare comunque che la musicofilia sia un dato di fatto della natura umana, poiché esercita un enorme potere su tutti noi, anche quando non la cerchiamo e non ci sembra di amarla particolarmente[3].
Può essere sviluppata da particolari talenti o dalle atmosfere culturali in cui viviamo o da particolari circostanze, ma accompagna la vita di tutte le persone.
Nascite e morti, vita quotidiana e riti.
Cosa accade quando ascoltiamo musica? La musica ha efficacia sulla vita? E’ fondamentale per la vita? Sembrerebbe proprio di sì a giudicare dalla fonosfera nella quale siamo continuamente immersi.
Certo è che non ha concetti né alcuna relazione necessaria con il mondo reale – Schopenhauer scrisse “la musica non esprime se non la quintessenza della vita e dei suoi avvenimenti, mai questi stessi” – ma sulla quasi totalità delle persone esercita un enorme potere. Infatti, per esempio, l’ascolto della musica non è solo un’esperienza uditiva ed emozionale, ma anche motoria. Nietzesche scrisse: quando ascoltiamo la musica ascoltiamo con tutti i muscoli.
La memoria musicale ha poi una straordinaria tenacia: il sistema uditivo e il sistema emozionale presentano verso la musica una spiccata sensibilità.
William James sottolineava la nostra suscettibilità alla musica. Infatti la musica può calmare, animare, dare conforto, emozionare… e può avere quindi un grande potenziale terapeutico.
Per la maggior parte di noi la musica costituisce una parte significativa della vita, sia quella esterna che sentiamo con l’orecchio, sia quella interna propria della nostra immaginazione e dei nostri ricordi musicali.Tra i bambini e la musica corre un rapporto simbiotico: per loro la musica è ritmo che scandisce naturalmente i gesti e i giochi.
Come ricordava Rodari, dal ritmo legato ai suoni e al corpo si passa al ritmo legato alla parola, per poi passare alla filastrocca ed entrare nel mondo della poesia. L’espressività estetica è importantissima, è quella destinata a preservare l’aspetto poetico dell’esistenza. Dà corpo allo stile interiore di un soggetto: richiede applicazione, esercizio, rigore, disciplina e nello stesso tempo emoziona ed è capace di emozionare.
Ascoltare, produrre ed eseguire musica è fondamentale per una crescita armonica della persona e della sua interiorità. “Ogni soggetto trova nell’espressione musicale non solo un momento di gratificazione, attraverso melodia e armonia, bensì un’occasione per rileggere tutto se stesso, le sue passioni, le sue attese, le sue dinamiche interiori, oltre che le sue relazioni con gli altri, con la società e le sue forme istituzionali, con la stessa ricerca del significato della vita umana.”[4]
La musica d’insieme poi favorisce uno stare intensamente collaborativo, promuove un modo collettivo di fare cultura, creando una particolare comunità cooperativa in cui si matura non solo un processo di formazione professionale del musicista, ma anche un processo formativo del soggetto, della sua mente, della sua volontà, della sua personalità globale e della sua capacità di vivere insieme. “Il dare-forma. Il darsi forma. Nell’esecuzione si condensa una, quella forma estetica. Quel fascio di accordi, ritmi, registri che si armonizzano o si oppongono o si sviluppano secondo il modello della variatio, della ripresa, etc. dall’esecuzione emerge comunque una forma. E a quella l’esecutore guarda. E la vede nel suo insieme e nel suo darsi come globalità nella tensione che pur realizza. Così l’esecutore fa l’esperienza della forma (compiuta). E del dar forma / darsi forma al tempo stesso. In un gioco sottile e dialettico, ma intensamente formativo. È in quella specifica situazione e in generale. E sul piano professionale e su quello umano.”[5]
Si comprende subito quale importanza potrebbe rivestire un insegnamento musicale strutturato già a livello della scuola dell’infanzia: musica nella prospettiva del ludus, per poi passare a esperienze via via più complesse, come quella, appunto d’insieme. La musica però dovrebbe assumere, nel mondo scolastico e nella sua cultura, un ruolo più centrale, una considerazione maggiore del suo potenziale formativo e culturale globale.
Nel sistema scolastico  italiano, invece, la musica non ha mai avuto una posizione fondamentale. Per oltre cento anni si è identificata o nel canto corale – nei casi migliori – e in inutili pratiche come il solfeggio parlato con l’assenza pressoché totale dell’ascolto.
Le leggi e i provvedimenti che si sono susseguiti hanno sempre riguardato gli apprendimenti definiti curricolari, con sperimentazione di metodi più o meno idonei al miglioramento dell’efficacia dell’approccio conoscitivo e formativo delle discipline. Le materie come disegno, ginnastica e musica, oltre alla trasformazione in educazione all’immagine, educazione motoria e musicale, non hanno avuto uno sviluppo adeguato agli altri apprendimenti. Si è piuttosto determinata una sorta di scissione culturale fra la conoscenza e la creatività, considerando la conoscenza irrinunciabile e la creatività un elemento accessorio. L’arte come produzione e come avventura creativa sembra essere bandita dalla scuola, quasi non fosse reputata pensiero.
Non si è mai ritenuto opportuno considerare in modo adeguato le potenzialità di un’educazione musicale coltivata fin dalla prima infanzia, quando invece in tutte le culture appare un’inclinazione verso la musica fin dalla più tenera età.
Insomma noi esseri umani, proprio come specie, siamo creature musicali non meno che linguistiche, siamo tutti in grado di percepire l’altezza delle note, il timbro, l’ampiezza degli intervalli, l’armonia e il ritmo. Costruiamo mentalmente la musica usando parti diverse del cervello e a ciò si aggiunge una reazione emozionale spesso intensa e profonda. Ma si sa, la scuola italiana è sempre stata poco attenta alle emozioni.
Con l’istituzione della scuola media unica (1962) compare per la prima volta la disciplina educazione musicale. Il nostro Paese, considerato il paese della musica per eccellenza, è stato più volte accusato di notevoli ritardi legislativi rispetto agli altri paesi europei, nell’affermare un’idea di educazione musicale intesa non come mero accessorio ricreativo, ma come elemento indispensabile per la formazione della persona nella sua globalità.
I programmi della scuola media dell’obbligo (1979), della scuola elementare (1985) e i nuovi orientamenti per la scuola materna statale (1991) hanno migliorato obiettivi e contenuti dell’educazione musicale, senza però offrire un progetto unitario e graduale della musica nella scuola. A tutto ciò va aggiunta la carenza della formazione di base e in servizio dei docenti, che non hanno mai avuto un progetto organico di aggiornamento e di formazione  sulle tematiche pedagogiche e didattiche della musica. Sembra ancora difficile considerare la musica come una delle componenti della cultura globale, superando una dimensione tecnico specialistica.
Altri sistemi scolastici europei, quali per esempio l’inglese, il francese e il tedesco, esprimono invece interessanti esperienze.
Da forma di elevazione spirituale ed estetica, teorizzata dalle sorelle Agazzi, si giunge al bambino esploratore di Montessori, che tocca con mano gli oggetti che producono suono, con interessanti spunti per rendere più scientifico l’approccio e la conoscenza delle realtà sonoro-musicali. Ma queste grandi intuizioni sono state solo marginalmente applicate e poco sviluppate. Gli attuali Orientamenti (1991) per la scuola dell’infanzia considerano la musica come chiave per leggere la realtà acustica del quotidiano, il così detto “mondo sonoro”, con il potenziamento dell’ascolto sonoro-musicale e lo sviluppo di campi di esperienze legati agli altri apprendimenti. Insomma “la musica è un gioco da bambini”.[6]
Nella scuola elementare – dove la musica è riconosciuta parte del curricolo – mancano però apposite figure professionali per insegnarla, che compaiono invece nella scuola media, per poi sparire nel superiore, proprio quando aumenta il consumo quotidiano di musica. I nostri giovani sono costantemente accompagnati dalla musica nella loro vita e vivono con gli i-pod piantati nelle orecchie. E’ proprio un paradosso.
La scuola che abbiamo ereditato sembra strutturata solo sulla funzione di trasmettere il sapere, di conservare e riprodurre gli equilibri sociali esistenti e quindi con un impianto autoritario, ripetitivo, statico, nel dominio quasi assoluto dei linguaggi verbali. Ma non ci si può ostinare a ignorare che i codici linguistici sono più di uno.
La scuola italiana nel corso della storia ha fondato la sua impalcatura educativa sulla parola, emarginando di fatto, sottovalutandone la forza espressiva e comunicativa, gli altri linguaggi e in particolar modo quello musicale. Si è affermata una assenza della musica, inspiegabile. “Proprio della musica che, tra le arti, possiede il linguaggio più universale, una sintassi variegata, una semantica assai complessa e, soprattutto, una capacità di ‘parlare ai soggetti’, di farli ‘vivere’ in tutta la gamma dei vissuti e di renderli felici in questa immedesimazione che avvolge, pervade, sostiene.”[7]
Ma la domanda di musica, anzi il bisogno di musica si è manifestato sempre più forte così, in parallelo, sono nate molte agenzie (le molte scuole di musica e di danza), che talvolta, pur non essendo programmate secondo una logica formativa, più o meno consapevolmente hanno inciso sulla formazione dei giovani, sensibili e ricettivi a molte forme di musica. Accanto alla scuola, si è sviluppato quindi un percorso di formazione musicale informale – estraneo e parallelo alla scuola pubblica – che si è progressivamente potenziato, soprattutto con il contributo degli Enti locali, offrendo occasioni d’incontro a giovani di ogni età, “per il piacere di fare le cose insieme” indipendentemente da ambizioni professionali.
Viene spontaneo domandarsi: è possibile un rapporto organico fra musica e scuola, facendo in modo che l’Educazione Musicale non sia una disciplina di secondaria importanza?
In sostanza occorre un impegno complessivo e autorevole, istituzionale, a livello nazionale, per proporre piani di intervento organizzati, prima di tutto per la scuola pubblica, che percorra tutto il processo educativo, sin dai primi livelli fino all’Università, al fine di determinare una vera cultura di base musicale per tutti.
Adesso appare veramente urgente affrontare, secondo modalità ampie e condivise, per esempio, i temi dell’educazione musicale emersi in seguito all’introduzione delle tecnologie digitali, inerenti l’integrazione tra strumenti tradizionali e strumenti digitali, metodi consolidati e approcci innovativi, saperi della scuola depositati nella memoria di insegnanti e bambini e nuove conoscenze veicolate da un esterno che non può più essere considerato estraneo.
I nostri giovani appartengono a una generazione che comunica più con strumenti e meno con le parole; usano con disinvoltura le nuove tecnologie creando miracoli, spesso da soli, senza il supporto degli insegnanti, ancora impreparati al loro uso didattico.
I ragazzi delle nuove generazioni, sono molto diversi dalla generazione dei loro genitori e dei loro insegnanti, di quegli adulti significativi che dovrebbero accompagnare e plasmare la loro crescita. I trenta-quaranta anni che li separano sono un’epoca storica immensamente più grande rispetto a quella che separava le generazioni precedenti; l’accelerazione del mutamento ha sconvolto codici e linguaggi, comportamenti e valori, stili di vita e culture, ha creato diversi modelli di estetica.
Costruire ponti per far transitare progetti educativi, significa anche considerare in modo adeguato le grandi potenzialità di una educazione musicale capace di mettere sempre più al centro il soggetto e il suo farsi come persona in un’armonica disarmonia.
Occorre che la musica possa essere insieme paradigma della formazione e cruciale esperienza formativa.

C. Bologna, Flatus vocis. Metafisica e antropologia della voce, Il Mulino, Bologna 1992.
J. J. Rousseau, Saggio sull’origine delle lingue, Einaudi, Torno 1989.
O. Sacks, Musicofilia, Adelphi, Milano 2008.
F. Cambi e F. Tamburini (a cura di ), Educazione e musica in ToscanaArmando, Roma 2006.[1] F. Cambi, Formarsi… in orchestra, in “Studi sulla formazione”, Anno X, 2007, n. 1-2, p. 199.
F. Delalande, La musica è un gioco da bambini, (ed. it. a cura di M. Disoteo), F. Angeli, Milano 2001.

Musica e scuola un amore impossibile?

La scuola italiana nel corso della storia ha fondato la sua impalcatura educativa sulla parola, emarginando di fatto – sottovalutandone la forza espressiva e comunicativa – gli altri linguaggi e in particolar modo quello musicale. In parallelo sono nate molte agenzie, che talvolta, pur non essendo programmate secondo una logica formativa, più o meno consapevolmente hanno inciso sulla formazione dei giovani, sensibili e ricettivi a molte forme di musica.
Bande, cori, complessi, scuole di musica comunali, associazioni… si è verificato un pullulare di forme di aggregazione che hanno cercato di rispondere al naturale bisogno di musica di ogni persona. Che in ogni persona sia naturale il bisogno di musica lo dimostra la sua pervasività in ogni momento della vita.
In Italia, “paese della musica” e “paese del bel canto”, c’è sempre stata e c’è tanta gente che balla, canta e suona; ogni manifestazione della vita, dalle nascite ai funerali, è accompagnata dalla musica; le segreterie telefoniche e i telefonini costellano di musica le nostre giornate; bande e cori si moltiplicano in risposta anche al bisogno di stare insieme delle persone; ma al suo ingresso a scuola, quando diventa materia di studio, cominciano i problemi.
“Finché si verranno a considerare i suoni unicamente per l’azione da essi esercitata sui nostri nervi non si conosceranno i veri principi della musica e il suo potere sui cuori”, scrive Jean Jacques Rousseau sull’Essai sur l’origine des langues. E la musica è l’arte che più si accorda al sentimento umano, strettamente legata al trasporto emotivo e al coinvolgimento profondo dell’intera persona. Nasce dalla capacità di captare e godere gli impulsi sonori della natura. E’ l’arte dei suoni, nel linguaggio figurato indica dolcezza e armonia di suono, di pronuncia, di tono, d’accento… Anche le composizioni  richiamano la sfera del sentire: adagio, allegro, divertimento, ballata, capriccio, notturno, preludio… Così pure i movimenti: vivace, a capriccio, appassionato, con brio…
Nell’inconscio umano la voce, il primo strumento musicale, costituisce una forza archetipica, per la sua naturale capacità di creare miti e di prestarsi a significazioni religiose. Così i suoni diventano una sorta di esplosioni dell’essere, della sua parte più intima ed emozionale, che tenta di superare, in un non luogo musicale la banalità del luogo della vita. Insomma tutte le emozioni intense suscitano l’emissione della voce, prima, la ricerca di esprimersi attraverso strumenti, poi.
Nella scuola invece abbiamo avuto un progressivo potenziamento della sfera cognitiva piuttosto che quella emozionale, per cui si è affermata una organizzazione gerarchica delle discipline che ha determinato una collocazione di secondaria importanza della musica e una sua esclusione dal curricolo, poiché come disciplina compare soltanto nella Scuola Media.
Mentre l’apprendimento occasionale si è potenziato, l’apprendimento intenzionale scolastico è fortemente diminuito, quasi dimenticando quanto l’intelligenza emotiva costituisca un forte elemento di continuità fra istruzione e educazione.
Nella scuola si è poi acuita la separazione fra musica colta e musica popolare,  fra musica classica e leggera. Dietro queste definizioni si palesa una gerarchia, quando in realtà in tutti i generi possiamo trovare buona e cattiva musica. Dentro l’espressione musica leggera c’è spesso molta fatica e molta professionalità che smentisce questo statuto di leggerezza. Per esempio dove sta il confine fra la poesia e la cosiddetta musica leggera d’autore? L’una non potrebbe servire per motivare a uno studio più partecipato dell’altra?
La poesia è espressione del mondo interiore, di emozioni, sensazioni e suggestioni profonde, comunicate attraverso un linguaggio ricercato e carico, appunto, di emozionalità.
Lo studio delle canzoni che sono maggiormente ascoltate dai nostri giovani può riservare sorprese inaspettate. Per esempio un avvicinamento al loro mondo interiore, una conoscenza più profonda delle dinamiche del loro mondo relazionale e comunicativo… ma anche un aggancio motivazionale allo studio della metrica, altrimenti sempre difficile da trovare.
Possiamo infatti rintracciare nella musica leggera forme metriche e caratteristiche fonetiche simili a quelle poetiche. Le caratteristiche fonetiche di alcune canzoni di Ligabue, per esempio, sono molto simili a quelle usate da Giovanni Giudici, Ungaretti ecc. Sono presenti a larghe mani comuni elementi metrico-ritmici: sinalefe, dialefe, dieresi, sineresi, cesure, enjambemant… Si ricorre a simili elementi fonici dominanti, a medesime suggestioni espressivo-emotive di stati d’animo cantati in vario modo in tutte le epoche e in tutti i generi.
Nelle attuali culture giovanili c’è una forte presenza del rock, del rap, del blues, che esprimono tensioni, parlano di diritti civili, solidarietà… tutti temi molto cari ai giovani, ai quali la scuola si potrebbe agganciare per sviluppare mille percorsi anche dal punto di vista dei contenuti.
Possono aprire la strada a un rapporto più organico fra musica e scuola, attraverso un coinvolgimento interdisciplinare non solo contenutistico, ma anche per la comune finalità di un’educazione al gusto e stimolo alla creatività.
Una mente attiva è sempre aperta a nuove possibilità, l’irrequietezza creativa aiuta a spaziare e a considerare i confini per oltrepassarli.
Mai come adesso la musica nelle giovani generazioni è stata così pervasiva, vivono con le cuffie dell’I-pod piantate nelle orecchie e questa loro abitudine fa sì che non siano con noi anche quando ci sono. Costituisce un loro mondo da cui siamo esclusi ed è un modo per dirci “noi siamo noi e siamo altro da voi”.
I nostri giovani appartengono a una generazione che comunica con strumenti e meno con le parole, proprio al contrario della scuola; usando le tecnologie creano miracoli e ne sanno di più dei loro genitori e dei loro insegnanti.
Anzi sono molto diversi da questa generazione, i trenta-quaranta anni che li separano sono un’epoca storica immensamente più grande rispetto a quella che separava le generazioni precedenti; l’accelerazione del mutamento ha sconvolto codici e linguaggi, comportamenti e valori, stili di vita e culture, ha creato diversi modelli di estetica.
La distanza si è allargata anche per l’accelerazione della crescita che talvolta rende diversi fra loro anche fratelli e sorelle, che ascoltano musica diversa nei loro I-pod.
È indubbio che occorra sviluppare una diversa cultura musicale nella scuola con un impegno complessivo e autorevole, proponendo piani di intervento organizzati, che percorrano tutto il processo educativo, sin dai primi livelli, per creare una stratificazione di conoscenze ed esperienze tali da determinare una vera cultura di base musicale.
La musica e le tecnologie dovrebbero indicarci la strada per agganciarsi al mondo dei nostri giovani, per costruire quei ponti senza i quali non può transitare alcun percorso educativo.
Occorre studiare forme e metodologie di intervento, e, come per tutti i problemi complessi, non ci può essere una soluzione unica, ma molte iniziative da intraprendere.
Preliminare è agire a livello ministeriale con opportune disposizioni e in questi ultimi tempi le novità sono molte: costituzione del “Comitato per l’apprendimento pratico della musica” e conseguente disposizione; circolare sulle scuole aperte anche per laboratori musicali e cori; il disegno di legge “Disposizioni per il riconoscimento delle scuole di formazione musicale, la loro valorizzazione e l’integrazione con il sistema scolastico” e infine le “Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo dell’istruzione”.
Bisogna anche lavorare molto per la formazione dei docenti secondo un profilo professionale più aderente ai bisogni dei giovani. Occorrerebbe una professionalità dalle molteplici sfaccettature che, facendo leva su una forte e approfondita competenza disciplinare, permettesse di percepire i confini della propria area per sviluppare correlazioni con altri ambiti culturali.
I nostri digital natives esprimono identità plurime in continua trasformazione, hanno quindi bisogno di approcci globali e dinamici, non accettano più una scuola pensata e organizzata per la specie homo sapiens: loro hanno già superato quella dell’homo videns e stanno forgiando il nuovo homo zappiens.

[1] C. Bologna, Flatus vocis. Metafisica e antropologia della voce, Il Mulino, Bologna 1992.
[2] J. –J Rousseau, Saggio sull’origine delle lingue, Einaudi, Torno 1989.
[3] O. Sacks, Musicofilia, Adelphi, Milano 2008.
[4] F. Cambi, Musica e formazione, in Educazione e musica in Toscana, F. Cambi e F. Tamburini (a cura di ), Armando, Roma 2006, p 16.
[5] F. Cambi, Formarsi… in orchestra, in “Studi sulla formazione”, Anno X, 2007, n. 1-2, p. 199.
[6] F. Delalande, La musica è un gioco da bambini, (ed. it. a cura di M. Disoteo), F. Angeli, Milano 2001.
[7] F. Cambi, F. Tamburini (a cura di), Educazione e musica in Toscana, op. cit.