Maggio 2001
Telefonata fra Alda Merini e Sandra Landi.
“…perché questa società, vedi, non ha talento per l’amore”!
“Cosa vuoi dire, che significa talento per l’amore?”
“Significa capacità, questa società non è capace di amare nessuno. Poi, se si è matte e vecchie e grasse come me, è un vero problema!”

Ma non importa essere vecchie e grasse e portarsi addosso quell’odor di follia che talvolta emana dalla poesia, si può anche essere giovanissime e avere un corpo esile, chissà come però, sempre pieno di lividi e ferite. E avere tanta voglia, dentro, di essere normale, di sentirsi stampata addosso quell’uguaglianza che serve a disegnare i confini dell’identità per somiglianza: tutte le stesse scarpe, le medesime cartelle, i capelli scolpiti con la gelatina. Di dire e non dire di sé con quei linguaggi del corpo, insomma, a cui sono avvezzi tutti gli adolescenti. Con tanta voglia di scoprire, prima o poi, dove sì è mai cacciato quell’amore di cui tanto si parla. Possibile che sia così puzzolente?
La vergogna e la colpa sbattono dentro ferendo, e si fanno pastoia che invischia e induce a silenzi gridati. E i giorni scorrono lenti e appiccicosi, sospesi come pipistrelli, in attesa che passi quella notte che non si spenge mai, neppure nei soli accidiosi. E ti senti come se ti fossi pisciata addosso, te sempre così impropria, così, davanti a tutti.
“Che hai fatto Samanta?”
“… è stata mia sorella, abbiamo litigato!”
E così per molti giorni.
Per molti giorni sospetti e paure non hanno trovato la strada della denuncia.
Fino a che non è esplosa la notizia.
E allora ti senti inutile, come pure quella carica di passione che non si è spenta nelle contraddizioni di più di trent’anni di odore di scuola, come pure la forza della cittadinanza attiva che si sgonfia nell’impotenza dell’azione.
E’ vero, sono sempre di più le persone che non hanno talento – bella questa parola, grazie Alda! –  inclinazione, attitudine, volontà, gusto ad amare nessuno, forse nemmeno se stesse. Comunque nemmeno i propri figli, ancora meno le proprie figlie.
E così si snocciolano le notizie del quotidiano. Ma si ha sempre la sensazione che a noi non capitino, che siano comunque cose d’altri.
Poi capitano, eccome capitano.

Sesso a colazione

Si rappresentano sulla scena della cultura di senso comune, modelli maschili e modelli femminili che imitano modelli maschili – ma è questa la strada della parità? – ispirati alla competizione, all’aggressività e alla violenza.
Con un sesso che si insinua in qualsiasi situazione: il pranzo, la cena, il tempo libero… e, appunto, a colazione, visto che si accende la TV, appena ci si alza, come si accende la luce, appena ci si alza, nelle giornate d’inverno.
Il sesso figurato e ammiccato, ma sempre aggressivo e violento… esonda nelle nostre case, incontenibile come l’acqua da un rubinetto rotto.
E così fa leva sugli immaginari più fragili, su quelli più facilmente suggestionabili, poco allenati  ai nessi fra Eros e Thanatos, e vai a spiegare poi che il sesso è bello e l’amore una cosa meravigliosa!
Basta la pubblicità dell’orologio Breil, a smentirti in modo inequivocabile.
Bambini adultizzati, diventano ostaggi di una sorta di “pedofilia pubblicitaria” – per dirla con Michele Serra –  che li ha individuati come l’anello debole di ogni famiglia, e li tempesta, li inganna e li seduce, costringendoli a desiderare ciò che nonconoscono e a conoscere ciò che non desiderano.

Che fare?

Certamente non possiamo far finta di niente.
Né la scuola, né la famiglia, né tutti coloro che si occupano di formazione.
Occorre lavorare insieme e come in ogni processo formativo, impegnarsi a tessere tele,  ciascuno la sua trama e il suo ordito, con i colori armonici e non casuali del rispetto dei ruoli.
Insomma, mentre si sta a discutere se chiamarla educazione sessuale o educazione alla sessualità, se sia compito della scuola o della famiglia, i nostri ragazzi e le nostre ragazze restano pericolosamente soli ad affrontare tempeste ormonali e moti dell’anima. Facili prede di disgraziati, vittime essi stessi delle contraddizioni di questo mondo e dei suoi disorientati abitanti.
L’autonomia investe la scuola di molte responsabilità, una delle più importanti è quella di trovare la capacità di affrontare e di rispondere alle sfide della società complessa, sapendo prevedere e interpretare i bisogni, anche quelli inespressi e spesso difficilmente esprimibili.
Perché non è vero che queste non sono cose di scuola.
I processi della relazione, dell’amicizia, dell’amore e del sesso, non sono processi estranei all’azione formativa, ma contribuiscono alla creazione di un clima sereno e positivo. Un clima in cui è più facile parlare, porre domande, esprimere dubbi e incertezze, confessare paure. Un clima in cui nessuno è estraneo all’altro, in cui c’è rispetto e fiducia. Allora è più facile anche dire l’indicibile.
Relazioni migliori fra studenti e docenti, fra studenti e studentesse, migliorano la qualità del processo di insegnamento-apprendimento, ma soprattutto aiutano a crescere.
La scuola non può ignorare la fatica della costruzione dell’identità, la profondità del desiderio e lo sconvolgimento degli amori (quegli amori eterni di una settimana o poco più). Perché non può ignorare la persona, nella sua complessità e nell’armonia delle sue disarmonie.
Questa è una società che ignora il soggetto, che sostituisce il senso con il segno, confonde la profondità della vita psicologica con la superficie dell’oggetto, la potenzialità della relazione con i giochi della seduzione, l’omologazione all’uguaglianza.
Qualcuno dovrà pur spiegare che si è uguali perché si è diversi e che questo potrebbe essere un mondo di singolari e plurali, ciascuno ricco di una ricchezza veramente maggiore?
Ma l’essere manca di profondità, è trascinato in una insostenibile leggerezza, da una cultura che impone una cura di sé solamente esteriore, un compiacimento narcisistico, che non è amore di sé, anzi diventa l’antitesi del soggetto.
Cura senza talento.
Così tutti, bambini e bambine, imparano molto presto a recitare ruoli vecchi e stantii,  cacciatori e prede, Ulissi e Sirene senza coraggio di cambiare il copione.
Marionette e non attori della propria vita.
Il sapore dei saperi.
Molto spesso la scuola ha il vizio di spogliare progressivamente l’alunno e l’alunna dalle sue caratteristiche di persona.
Ma ciò che fa di un contenuto un sapere – inteso come conoscenza, competenza e capacità – e di un sapere, un sapere forte, con tutti i suoi sapori, è quando è ancorato al consolidamento del talento affettivo-relazionale, su cui possono innestarsi proficui itinerari di crescita culturale e sociale.
Se la salute, come dice Gadamer, “non è un sentirsi, ma un esserci – e vorrei sottolineare la positività di questo “esserci”, un esserci come portatori di saperi di creatività e di cittadinanza, un esserci radicato in identità forti, che non hanno paura di confrontarsi con gli altri e con le altre –  allora la scuola, la famiglia e le istituzioni che ruotano intorno al mondo dei giovani, non possono fare a meno di educare alle relazioni positive.
L’educazione alla sessualità non può essere rappresentata da paure e da rischi – pedofilia, aids, gravidanze indesiderate -, ma deve rappresentare la gioia di un rapporto profondo dei corpi e dei sentire.
Ma questa cultura usa i corpi, e soprattutto i corpi delle donne, in modo schizofrenico: li esibisce, ma né li conosce né li ama, anzi è come se ne avesse paura.
Quindi educazione alle relazioni positive, quelle relazioni che costruiscono persone  capaci di essere se stesse accanto e insieme agli altri, nel rispetto, nell’amicizia e nell’amore.
Relazioni positive intese come capacità di costruire terreni d’incontro, in cui l’io e il tu non siano una somma, ma siano capaci di diventare un noi condiviso.
Nel lavoro, nella famiglia, nella scuola, nei luoghi della socialità.
Un noi sempre in gioco, come nel gioco dell’amore, un gioco sottile di scambi e di rimandi, in cui il vincitore può essere l’uno o l’altra, ma mai sempre l’uno o sempre l’altra.
Così questa società, questi futuri uomini e donne potranno diventare persone con talento per l’amore.

(Testo pubblicato in Le ferite dell’arcobaleno ovvero quando il sole dell’infanzia è oscurato dagli adulti, a cura di E. Bartolozzi e G. Picerno, Consiglio Provinciale di Firenze, Firenze 2001)

A proposito di pedofilia

Ieri, fra le pagine di un famoso libro.
“Figuratevi un omino più largo che lungo, tenero e untuoso come una palla di burro, con un visino di melarosa, una bocchina che rideva sempre e una vocina dolce e carezzevole, come quella di un gatto che si raccomanda al buon cuore della padrona di casa.
…Dimmi mio bel ragazzo, vuoi venire anche tu in quel fortunato paese?”
E giù via con “carino mio” e “amor mio”.
Facile riconoscerlo: è proprio l’omino del Paese dei balocchi e il ritratto che ne fa Collodi non lascia ombra di dubbio.

Oggi, navigando in internet.
Testimonianza di Giulio.
Celibe.
Medico.
Passioni: computer, tennis, fantascienza.
“Decisamente non è facile esprimere in poche righe i sentimenti che sono la costellazione più intima di emozioni che ciascuno di noi prova, ed ancor più difficile, se non impossibile, è cercare di trasmetterle a chi legge.
Il mio modo di essere nasce da anni di travaglio interiore, di amarezze, di dubbi tenaci, di sconforto fisico e psicologico, di crescita dura e lenta, di gioie e piaceri, di felicità convissuta, insomma, una consapevolezza – figlia di un profondo malessere interiore – lenta a venire e una maturazione per accettarsi e accettare il proprio orientamento sessuale.
Un’infanzia normale, bella, una famiglia senza problemi: io, mia sorella, i miei genitori, anni passati con loro, la scuola, gli amici, i primi amori, le prime esperienze, una lenta scoperta del proprio corpo, la trepidazione, le paure, la voglia di sapere, di conoscere.
Io, bambino innamorato della compagna di classe: bionda, eterea, bellissima, primo modello impresso a fuoco nella mente.
Io, bambino spensierato che scopre l’amore, giochi, sguardi, timori, gioia.
Anni vissuti con normale naturalezza di giovane attratto dalle proprie coetanee.
Poi si cresce, si matura, bisogna responsabilizzarsi, inserirsi in un contesto sociale e ti rendi conto che tu, ragazzo-adulto, resti arpionato agli anni della tua infanzia e cerchi di ritrovare nel mondo degli adulti quel modello di ragazza che ti attira, che ti piace e, ahimè, nasce il disagio, il disagio di non riuscire a trovare quello che cerchi, il disagio consapevole di essere attratto da qualcosa che non è tipico del tuo mondo di adulto.
Lentamente sdoppi la tua vita, la facciata sociale fatta di normalità, di lavoro, di ragazze, di amici, e la facciata asociale nascosta, interiore, quella che ti senti tua ma sai di non poter mostrare.
Non so se da queste righe traspare il disagio in cui si vive quotidianamente, so che adesso ho trovato una mia stabilità, mi sono accettato per quello che sono.
Non è stato facile perché ti ritrovi da solo con la tua diversità e tutto il mondo contro.
No, non è paranoia, è la consapevolezza che la società in cui vivi è oltremodo fobica e incapace di affrontare con lucidità un argomento che tocca nel profondo le coscienze di tutti, un argomento che terrorizza la mente delle persone, la possibilità che un bambino possa esprimere liberamente la propria sessualità.
E tu che di tutto questo fai il tuo credo, che stai bene con i bimbi, che li capisci, che giochi con loro, che ne condividi le gioie e i problemi, sai che loro contraccambiano le tue attenzioni, lo senti, e questo ti piace…Attenzioni non morbose, non violente, figlie di un rapporto paritario dove tu, adulto, metti da parte l’abito e l’investitura che la società ti ha dato e ritorni a giocare, a considerare con rispetto l’infanzia, a sconvolgere e ad essere sconvolto da un mondo parallelo dove non esistono i tabù, dove tutto è una scoperta, dove tutto è gioia e piacere.

“Credo di essere pedofilo convinto nell’animo, pedofilo nell’accezione buona del termine, se oggi ancora esiste un’accezione “buona”. (2) Mi piace stare con i bambini, mi piace tutto di loro: il modo di pensare, di fare… […] Allo stesso tempo mi sento castrato, chiuso, oppresso in un mondo che non sento mio e che non è nemmeno loro, fatto di divieti, di tabù, di costrizioni e limiti, di paure ed estrema bigotteria, un mondo che considera alla stessa stregua un atto di amore e le atrocità di un pazzo maniaco, senza distinzioni né soluzioni di continuità, quando si parla di pedofilia si perde la ragione, si impasta tutto, si mischiano i valori, la rabbia schiuma e il dialogo e il ragionamento non hanno più ragione d’ essere. Per concludere, anche se sento di essermi espresso in maniera tumultuosa e la cosa mi rammarica, mi piace concludere affermando che io sono il professore, il maestro, il panettiere, il medico, il vicino di casa e il collega di lavoro, sono l’ uomo comune che non disdegna di accarezzare una bimba e di apprezzarne la gioiosa bellezza, insomma sono l’uomo normale e tale mi sento in tutta la mia solitudine con la mente lucida, pensante e libera da ogni perversione. […]
Passarono un po’ di anni fra storie di piccolo conto e ci troviamo a cavallo dei miei quindici anni. Forse fu a quell’epoca che cominciai ad avvertire un disagio nel constatare che le “preferenze” fra me e i miei amici cominciavano a sdoppiarsi.
Certamente lo “standard” fra tutti era indirizzato verso le nostre coetanee o giù di lì; ragazzine di tredici, quattordici anni, che piacevano anche a me, ma io mi sentivo estremamente attratto anche dalle bambine di otto, nove anni. Non ne parlavo mai con nessuno, per paura di essere preso in giro. E’ probabile che qui siano iniziate le mie \frustrazioni di “pedofilo”, una sottile forma di repressione sociale e comunicativa molto più distruttiva della repressione affettiva e sessuale.
Questo lato di me, che rifiutavo e che mi faceva star male, mi stava appiccicato addosso come una escrescenza tumorale che vuoi tagliare e buttare via. E’ quel lato oscuro di cui ti vergogni e che ti fa paura. Sei convinto di essere “pazzo” e non hai nessuno, ma proprio nessuno con cui parlarne. Non sai dove sbattere la testa e le tue giornate sono condizionate dall’attrazione che hai e dalla vergogna che ne provi. Parallelamente la mia vita affettiva – quella normale – andava per i suoi binari: i flirt, gli innamoramenti, le prime ragazze fisse e qualcuna che andava e che veniva. La mia vita affettiva da pedofilo, invece, ebbe la sua prima folgorazione per Antonella, la sorellina di nove anni […]
La ragazza con cui stavo all’epoca. Bellissima, sorriso gioioso, occhini teneri, visino da fata. Me ne innamorai e facevo di tutto per stare con lei, giocare, interessarmi alle sue cose. Cercavo di fondere il suo mondo dentro il mio. Il mio per lei fu i vero amore “platonico”: la mia soddisfazione era di vederla felice con me e non ebbi mai alcuna manifestazione “erotica” in sua presenza.
Poi il tempo passò e portò via con sé storie e persone, attenuò i ricordi e – nel mio caso – amplificò il malessere e le frustrazioni.
Arriviamo ai miei 26 anni fra innumerevoli eventi, ma oggi ricordo che quel periodo della mia vita sessuale era dominato dall’alternanza di due fasi: da un lato c’era una ricerca spasmodica di pornografia infantile e una resa senza condizioni a quel lato di me che non accettavo, dall’altro c’era un rifiuto della mia pedofilia di tale vigore e tale violenza che buttavo via tutto il “prezioso” materiale accumulato e mi ripromettevo di respingere le mie fantasie pedofile.
Solo oggi, chiaramente, so bene che era una battaglia ingiusta e destinata alla disfatta, ma all’epoca il combatterla con tutte le mie forze fu un vero calvario che mi consumava giorno per giorno.
Dicevamo, siamo a 26 anni. Perché mi fermo qui? Semplicemente perché a 26 anni incontrai la mia prima grande passione. All’epoca avevo un amico e la folgore e la folgore che mi incenerì, arrivò quando andai a casa sua e vidi sua figlia Simonetta. Entrai in cucina e zac! Fulminato dalla perfezione della terra, tutta raccolta in un angelo biondo di otto anni. Da quel giorno misi in atto tutto il possibile per frequentarla.
Per lei ero l’amico; ero l’unico adulto che si interessasse a lei veramente come “persona” e non come bambina. L’aiutavo nei compiti, facevamo lunghe passeggiate, parlavamo tanto e di tutto, ma proprio tanto e veramente di tutto.
Ogni volta che andavo a casa sua, mi sentivo sempre emozionato come ci si sente al primo appuntamento con un nuovo flirt. Quando sentivo la sua voce al telefono mi liquefacevo. La nostra amicizia aveva anche un piccolo lato “sensuale”: lei amava particolarmente venirmi sulle ginocchia per farsi grattare la schiena; andava quasi in estasi e in ciò non vi era nulla di erotico o di “sessuale”, ma era solo un contatto fisico che coinvolgeva i sensi ed aveva un ruolo comunicativo fra noi. Passarono due anni e il nostro rapporto divenne ancora più saldo. Certo, mancava il lato erotico, ma a quello sopperivo in separata sede da solo; cosa chiaramente frustrante, ma non osavo far entrare una componente sessuale nella nostra storia, anche se lo desideravo moltissimo. Siamo adesso arrivati ai suoi dieci anni; la sua precocità era straordinaria…”

Strana epoca la nostra.
Con gli orchi che non hanno artigli, piedi a punta e saliva blu, ma hanno l’aspetto di un tranquillo medico di provincia.
Con bambini sempre più adulti e adulti sempre più bambini.
Bambini standard, tutti uguali, con le medesime scarpe e le medesime merendine – come se avessero voglia di appartenere ad una medesima famiglia, visto che quella vera è latitante. Non indossano abiti, vestono uniformi, mentre hanno imparato a sostituire i cartoni animati ai sogni, le Playstation alle coccole.
Bambini teledipendenti o cibernetici, ricchi o poveri che siano, tutti ugualmente e disperatamente soli.
Con genitori che si preoccupano di loro, ma non si occupano di loro, che cercano di riempire di cose la loro solitudine per far tacere i sensi di colpa. Cose di ogni tipo, rigorosamente come spot comanda, senza accorgersi – ma come si fa? – che gli oggetti comprati, magari anche costosi, non possono essere mediatori di amore. Tutti fanno di tutto, quasi per finta, come se recitassero un assurdo copione per marionette accelerate, ma nessuno fa quel che dovrebbe fare.

Si comunica coi cellulari e in casa non si dialoga, oppressi dai rumorosi silenzi delle tv e dei computer.
Molto rumore per nulla, perché tutto ben presto si trasforma in silenzio connivente, facilitando di fatto chi agisce nell’ombra.
Nell’era della comunicazione non si comunica, perché anche la comunicazione è diventata un oggetto comprabile.
E così è la solitudine ad accompagnare la crescita, costante dell’infanzia e dell’adolescenza, soprattutto sulla sessualità.
È vero, ha ragione il nostro “pedofilo convinto”, viviamo in una società fobica, incapace di affrontare con serenità tutto ciò che riguarda la sfera dell’affettività e della sessualità.
I bambini si rendono conto presto che questo è un territorio negato, proibito, e, una volta giunti all’adolescenza, sembrano orientarsi naturalmente verso la scelta degli adulti di tacere.
Così imparano per imprenditoria diretta, fra sussurri e grida, fra allusioni onnipresenti e assoluta assenza di parole pensate, i cosiddetti “segreti del sesso”.
Anche gli sgangherati ragazzi del web, sono abbandonati a se stessi in piena tempesta ormonale in un falso silenzio, confuso come loro, carico di allusioni e di messaggi nascosti. Dove pure i risolini sono segni di un disagio palpabile.
I bambini imparano tutte le cose della vita attraverso le relazioni col mondo adulto e anche da queste relazioni dipende il tipo di messaggio che ricevono intorno alla sessualità.
Ogni individuo dovrebbe sentirsi protagonista della sua nascita, interiorizzando attraverso gli affetti le sue magie, ed essere accompagnato nella crescita da una comunicazione franca e intensa, che persegua l’autonomia in un clima di rispetto del sé e dell’altro da sé, e che favorisca la percezione della sessualità come fonte di emozioni e di piacere, strumento di conoscenza e di relazioni positive.
Se la sessualità è una parte naturale della vita degli esseri umani – naturale e complessa, per cui non può essere ridotta a genitalità – deve essere inquadrata in un progetto di vita che persegua il benessere psicofisico della persona. Non può essere intessuta di divieti e di paure, ma, inserita in una complessiva educazione all’affettività, volta alla progressiva conoscenza del proprio corpo e della propria identità di genere in un’atmosfera di positività.
Educare a intessere relazioni positive, ad amare, come espansione del sé verso gli altri, ad amare il proprio corpo e quello degli altri e a saper trarne piacere è il compito fondamentale degli adulti significativi. Perché la vita è anche ricerca del benessere, inteso nella sua accezione più intensa e interiore.
Ed è proprio un clima di relazioni positive quello che dovrebbe richiamare la parola pedofilia, invece, da quando il termine è entrato nella lingua italiana, nel 1935, il suo significato si è ristretto al campo dell’attrazione erotica e delle molestie nei confronti dei bambini. Il termine era ufficialmente entrato in psichiatria con il significato di passione sessuale nel 1905 su proposta dello psichiatra svizzero Auguste Forel. La descrizione della sindrome precede quindi di pochissimo tempo la pubblicazione delle Teorie sessuali dei bambini di Freud (1908).

Ma insomma, a proposito di pedofilia e del suo etimo, viene da domandarsi: ma questa società – e dico in generale, non solo a proposito di pedofilia – ama i bambini?

Ci sono molte parole che, a lungo andare, a forza di essere pronunciate, diventano sclerotizzate e prive di senso.
C’è bisogno quindi di scalfire il guscio dello stereotipo e rivestirle di nuovi significati.
Per esempio, la parola amore, usata troppo spesso e con grande superficialità, rappresentata e trasmessa in mille modi, a proposito dei bambini che significato ha?
L’amore può essere rappresentato dalle cose, come prima abbiamo osservato?
E al di là delle dichiarazioni d’intento spese a profusione, quale concezione sottende la parola bambino?
Bambino è sinonimo di minore, le parole boy e garçon vengono usate nel nostro linguaggio comune con un’accezione chiaramente negativa, come sinonimo di subalternità e inferiorità intellettuale. Bambino, da bambo, che anticamente significava sciocco, è anche il simbolo di un’intelligenza primitiva, legata a comportamenti sventati e irresponsabili.
E allora questa società considera il bambino una persona completa con diritto di piena cittadinanza o un adulto imperfetto?
Purtroppo è facile rispondere.
E, ancora di là delle parole, qual è il significato della famiglia? Una somma di individui che vivono accanto o un insieme di persone capace di intraprendere un progetto di vita comune?
Se chiedessimo a un genitore: ma i genitori amano i propri figli?
Saremmo presi per matti: chi più di un genitore può amare i propri figli?
Niente di più falso, e a chi lo crede consiglio vivamente una lettura: Non è facile amare i propri figli, di Georges Snyders (1985), d’altra parte anche Freud afferma “l’amore parentale, così commovente e in fondo così infantile, non è altro che il narcisismo dei genitori tornato a nuova vita” (Freud 1914, 461).
Infatti la maggior parte degli abusi avviene fra le mura domestiche, e sono i dati che così parlano.
Se le parole amore, famiglia, sessualità, hanno bisogno di essere sostanziate da nuovi significati e costituiscono terreni difficili per la scuola e la famiglia, figuriamoci il terreno della pedofilia, dove gesti e comportamenti sono così intrecciati che è impossibile spesso distinguere il confine tra tenerezza, cura, amore e  prevaricazione.
Non sarà che tutti noi, presi da questo mondo che corre troppo in fretta, dove prevale la cultura dell’avere e dell’apparire a scapito della cultura dell’essere, abbiamo poi una scarsa conoscenza del nostro mondo interiore, delle nostre pulsioni, dei nostri desideri?
Non sarà che tutti noi viviamo con scarsa consapevolezza l’eterno gioco dell’identità in cui ogni età cerca di coinvolgerci?
Siamo sicuri che quel singolare puzzle di frammenti rinnovi ogni volta la magia del caleidoscopio?
Non sarà anche la pedofilia un problema di rifondazione dell’identità?
Cominciamo col combattere pregiudizi e confusione e con l’imparare insieme ad amare prima di tutto noi stessi, tanto che ogni io si spanda naturalmente nell’altro io, tanto da creare un noi condiviso.

La cronaca

Molto spesso apprendiamo dai media tragici fatti di pedofilia che talvolta purtroppo si risolvono con la morte dei bambini, sono fatti che ci toccano profondamente e che fanno pronunciare parole di condanna.
Molte e diffuse, ma non unanimi.
Di contro, infatti, c’è la posizione dei gruppi di pedofili organizzati, reperibile anche su internet (per esempio: Internet Danisch Pedophile Association), i quali si dissociano da questi casi estremi e rivendicano l’autenticità del loro amore per i bambini.
Questi pedofili, che qualcuno ha definito “buoni”, per distinguerli da quelli che, invece, aggrediscono e usano violenze, sostengono che i bambini hanno una loro sessualità, che il non riconoscerla è tipico di una società sessuofobica – proprio come dice la testimonianza che riportiamo – che non c’è nulla di male nell’amore tra grandi e piccoli e che sarebbero proprio i bambini a sollecitare gli adulti comportandosi in modi seduttivi (basti ricordare la Lolita degli anni Sessanta); inoltre la pedofilia è sempre esistita e nell’antica Grecia era addirittura praticata dai filosofi.
In uno dei loro manifesti programmatici si legge:

  • la nostra campagna è come quella antiproibizionista,
  • chiediamo la libertà di espressione per chi crede sia giusto amare i bambini,
  • quando non c’è violenza, né sfruttamento, né prostituzione la pedofilia va rispettata,
  • mettendoci in carcere fate di noi dei perseguitati,
  • quando non c’è violenza ed il bambino è consenziente, il rapporto deve essere considerato lecito.

E’ evidente che nella dichiarazione di questi “amanti dei bambini” il punto critico sta tutto nel termine “consenziente”; può essere considerato consenziente un bambino che non sa  cosa sta per fare e che si trovi in una posizione di netta inferiorità dal punto di vista del potere, della comprensione, dell’esperienza e dell’autonomia emotiva?
Questo è un problema molto diffuso fra i bambini della nostra generazione che sono tutti un po’ accelerati: ricevono una gran quantità di informazioni, ma non sono in grado di assimilarle dal punto di vista emotivo. Ricordiamo che non c’è mai una coincidenza netta tra sviluppo cognitivo e sviluppo emotivo e che le modalità di comprensione sono sempre diverse in ciascuna età.
La vera libertà poi non è avere tante informazioni, ma la gradualità e la profondità con cui sono poste.
L’adulto, invece, è navigato dal punto di vista esperenziale, ha obiettivi precisi e capacità di elaborare un piano tattico e strategico.
Il problema è complesso vediamo quindi di sintetizzare una serie di fraintendimenti e di confusioni presenti nella cultura di senso comune.

  1. La pedofilia nell’antica Grecia era ammessa come “pederastia”, ossia come amore fisico tra un adulto e un giovane, ma era vietata la pedofilia e per i pedofili era addirittura prevista la pena di morte. Qui, come nell’antica Roma, c’era però la consuetudine dei matrimoni precoci, un uomo cioè poteva avere una moglie anche di dodici anni, come succede oggi in alcuni paesi africani.
  2. Quando si parla della sessualità dei bambini, si dovrebbe intendere soprattutto sensualità, perché gli ormoni non circolano ancora come in un adolescente o in un adulto. Anche i bambini hanno le loro zone erogene, però la sessualità è diversa e sporadica, il bambino non pensa al sesso quanto un adolescente che diventa quasi vittima dei suoi ormoni.
  3. Un’altra opinione inesatta è che il pedofilo sia un uomo di una certa età, uno sporcaccione spesso in pensione, un disoccupato che, oltre a molestare i bambini, può anche avere delle anomalie del comportamento sessuale, le cosiddette parafilie, come l’esibizionismo, il voyeurismo, ecc. Questi tipi di pedofili esistono, però le statistiche più recenti indicano che l’interesse per i bambini inizia verso i quindici sedici anni (come la testimonianza che abbiamo riportato) e che, di solito, la vittima è nota al pedofilo, talvolta amico o parente della vittima, insomma un frequentatore della casa che non presenta altre anomalie del comportamento. Spesso e volentieri, il pedofilo è membro della famiglia nucleare o allargata.
  4. L’attrazione erotica che alcuni sentono per i bambini non si traduce sempre in atti sessuali completi, in realtà il pedofilo può limitarsi a guardare il bambino, ad accarezzarlo, può convincerlo a fare cose analoghe nei suoi confronti. C’è anche chi si limita a guardare materiale pornografico, più diffuso di quanto non si creda. Oltre ai pedofili attivi, ci sono infatti anche quelli latenti, che non giungono mai a prendere iniziative, e, fortunatamente, anche quando lo fanno, non sono animati da impulsi sadici o malevoli e cercano di evitare che i bambini possano lamentarsi o parlare. Se scoperti, alcuni cercano di spiegare o di giustificare i loro comportamenti, parlano delle loro attenzioni nei confronti dei bambini in termini estremamente delicati, ricorrendo alle più varie razionalizzazioni; per esempio possono proclamare il valore educativo dei loro abbracci e delle loro carezze, oppure giustificarsi sottolineando la seduttività del bambino.

È vero, a volte, i bambini possono anche assumere atteggiamenti seduttivi, ma in gran parte sono inconsapevoli, purtroppo però, se sono stati iniziati a pratiche del genere, può addirittura diventare il loro modo di comunicare con gli adulti, come succede in alcuni paesi orientali, dove molti di loro vengono presto avviati alla prostituzione.
In un adulto il senso di protezione dovrebbe prevalere su eventuali turbamenti; i bambini non conoscono ancora il mondo, hanno però fiducia negli adulti che si prendono cura di loro, si aspettano di essere guidati ed indirizzati per il loro bene in questa società, si aspettano che gli adulti indichino loro quali sono le norme da seguire, i comportamenti giusti e si aspettano di non essere ingannati.
Ci sono bambini che vengono traditi dai loro stessi genitori: vivono in tali condizioni di miseria che li vendono ai mercanti del sesso, poi, dopo essere utilizzati per qualche anno, li abbandonano al loro destino.
Fenomeno vergognoso il turismo sessuale, cominciato agli inizi degli anni Ottanta e oggi più diffuso di quanto si creda fra persone considerate normali e rispettabili, che hanno figli e non praticano la pedofilia nel loro paese, ma, quando si trovano all’estero, si sentono in diritto di abusare di bambini e bambine spesso più giovani dei loro figli.
Col passare degli anni questo business internazionale si è ingrandito, proprio perché molti sono gli interessi in comune: non ci sono solo i protettori che tengono prigionieri i bambini, ma anche tour operator, gestori di alberghi, tassisti, spacciatori di droga, trafficanti di documenti falsi, e chi più ne ha, più ne metta.
Brava gente, insomma, tutti accomunati da una medesima cultura dell’avere.
E allora quali sono le misure che si possono prendere? Certo è che occorrono leggi e rapporti internazionali di tipo diverso, ma noi, singoli cittadini, padri e madri, insegnanti e operatori sociali, che quotidianamente commettiamo tanti errori, ma che fondamentalmente amiamo i nostri figli e i nostri alunni, cosa possiamo fare?
Diffondere una diversa cultura dell’infanzia e dell’amore, ridurre l’arretratezza culturale e la miseria delle famiglie che vivono ai margini della società civile.
Combattere la cultura della diffidenza, facendo in modo che ogni bambino cresca in un clima di serenità e di fiducia, abituandolo però all’assunzione di uno spirito critico che gli permetta di distinguere gli adulti affidabili da quelli inaffidabili.
Il mondo è fatto di “gatti e di volpi”, di “grilli parlanti” e di “fate dai capelli turchini” e deve essere letto con gli occhi dell’intelligenza, senza perdere di vista le emozioni, aiutando a distinguere il mondo reale dal mondo immaginato, senza perderne il sapore.
Perché come diceva Calderon della Barca qualche annetto fa “la vida es sueno” e come dice oggi Roberto Benigni “la vita è bella”. Così, con le sue contraddizioni e con tutte le sue tragedie. Ha il sapore asprigno delle susine non ancora mature.
In famiglia basterebbe un clima di confidenza, con l’abitudine a una comunicazione reale: una comunicazione non di cose, ma di corpi e di pensieri, riscaldata dal calore del fiato che accompagna la parola parlata.
Sì, è importante a scuola e in famiglia  insegnare e sorvegliare l’uso di internet, basta però essere consapevoli che il maggior pericolo spesso è vicino e invisibile a occhi superficiali e frettolosi, e che per ciascuno di noi è più facile vederlo lontano. E’ naturale, è una forma di difesa, ma è il coraggio di mettersi in discussione quello che paga.